30 ottobre 2006
Molti mi hanno scritto chiedendomi di descrivere di più le emozioni che vivo. Mi rendo conto che nel blog sia sovrarappresentata la parte “più leggera” del mio soggiorno, semplicemente perché ho scelto di parlare soprattutto di quella. Il resto lo tengo in buona parte per coloro che me lo chiederanno di persona. Le cose scritte fanno un altro effetto, e possono facilmente essere fraintese. Ho provato a non banalizzare realtà che sono complesse e necessitano di cautela. Ho considerato il blog come fosse una conversazione in un pub, tante chiacchierate che possono andare in profondità ma senza voler per forza colpire. Quando tornerò vi racconterò anche altre cose, come dicevo in uno dei primi post la mia esperienza quaggiù non si può mettere tutta in fila con una tastiera.
Quando sono partito non sapevo cosa pensare. Tutto era confuso ed impreciso. Come spesso mi capita prima di affrontare qualcosa di nuovo, avevo provato a costruire un sud africa personale nella mia testa, a “prevederlo”: questo slancio di fantasia mi serviva per avere un’immagine delle persone che avrei incontrato e che ancora conoscevo solo via e-mail, ed un’immagine di me stesso immerso in qualcosa di “altro”. Ovviamente niente corrispondeva alle mie supposizioni, ed ora neanche ricordo com’erano, queste fotografie mentali: tutto è stato superato dalla realtà, ed il mio sud africa vissuto si è sovrapposto a quello immaginato. Domani vado a Johannesburg, poi a Pretoria. E’ un’altra piccola prova da superare, ma ormai non penso più a ciò che potrebbe andare storto: semplicemente non mi fa più paura l’imprevisto. Sono convinto che me la caverò. Il vivere completamente solo e senza figure di riferimento a cui appigliarsi mi ha fatto capire che posso FARE contando su capacità e quel po’ di esperienza che ho accumulato. Anche qua in Sud Africa ci sono stati e ci sono ancora qualche pomeriggio o notte inquieta, motivata da semplici discussioni, scazzi, stanchezze o momenti di solitudine che a cadenza regolare colpiscono tutti. So di non avere nessun salvagente, ed ho cominciato a farmi forza senza aspettare qualcuno che mi tiri su. All’inizio non conoscevo nulla, e non avevo legami. E’ stato difficile. Appena arrivato ho scoperto che scrivere mi aiutava parecchio. Se vedevo qualcosa di divertente o particolare lo annotavo dove capitava, contento di poterlo condividere con qualcuno che avrebbe letto ed immaginato il suo sud africa attraverso le mie parole. Scrivere il blog era come parlare con un amico bevendo una birra. Anche se la giornata era stata merdosa iniziavo a scrivere e ridevo, perchè ripensavo alle cose buffe o particolari di sto posto. Scrivere sublimava quel contatto umano che quando sei uno straniero appena arrivato non può non mancarti. Quindi grazie a tutti coloro che si sono fatti sentire, con i commenti o con e-mail lungherrime. Molti di voi hanno capito davvero tanto. Dopo che avevo letto le vostre parole iniziavo la giornata felice.
Piano piano le cose cambiano quando capisci che non puoi vivere un’esperienza di quasi quattro mesi come fosse una vacanza. Semplicemente, non ti è permesso. Ti devi costruire un equilibrio ed una vita, che anche se è momentanea ed ha la data di scadenza necessita di punti fermi. In mezzo al fiume di gente in cui navigavo attraversando il campus ho incominciato a riconoscere facce note. Poi ho iniziato a ricordare le posizioni dei luoghi, a salutare chi incontravo tutte le mattine, a gustare piccoli riti condivisi, fosse anche solo guardare un telefilm con uno e prendere un caffè acquoso con qualcun’altro. Tutti i giorni. Ho incominciato a scandire i momenti della giornata, a gustarmi gli attimi, ed al momento giusto è arrivata l’opportunità di conoscere un botto di gente. Le relazioni sociali seguono una linea esponenziale. Il ritmo di persone a cui stringo la mano dicendo “nice to meet you” continua ad accelerare, e lo devo anche all’idea diffusa nel mondo che gli italiani sono gente “umana”. Ho incontrato anche diversi stronzi. Quella categoria di persone che pensano tu ti debba giustificare perché italiano vuol dire “mafioso”, e quindi chiedimi scusa. Su questo ho scherzato ma fino ad un certo punto. Sono nel tuo paese ma se le tue parole sono chiaramente motivate dall’ignoranza o dalla tua mente limitata te lo faccio notare. Dopo un po’ ho preso a scherzare in inglese, anche se è difficile farlo come lo faccio io di solito. Ho smesso di avere paura del “fraintendimento” e mi sono rilassato. Poi come un fulmine all’improvviso, quando pensavo di essere un ometto indipendente, ha bussato alla mia porta l’istinto materno delle donne sudafricane. E’ una cosa incredibile. Non credo di avere la faccia da ragazzo bisognoso di cure, ma c’è chi mi ha messo in ordine la stanza per farmi un piacere, chi mi ha sorpreso cucinando, chi mi ha voluto aiutare col bucato. In ufficio c’è una donnina bassa bassa che viene dalla namibia ma ha la pelle chiarissima. Non ricordo neanche il suo nome. Avrà 50 anni. Qualche giorno fa ha incominciato a dirmi: “voglio presentarti mio figlio ed i suoi amici. ti divertirai, sono come te. cosa bevi di solito? che carne ti piace?” Francamente, l’idea di uscire con persone completamente “mai viste” non mi esaltava. Era tipo un appuntamento al buio, ma ho accettato perchè ad una gentilezza così sfacciata non si può dire di no. Da situazioni un po’ storte può nascere qualcosa di buono ed infatti mi sono divertito un sacco, una serata da ricordare. Martedì è Halloween e sarò in un ostello a Johannesburg. Niente feste per me quest’anno, ma l’altro giorno ero al Mystic Boer e c’era un simil-party mascherato, anche se qua in realtà Halloween non se lo caga nessuno. Sono salito in macchina con Elsa ed i suoi amici metallari. Uno era alto 2 metri ed aveva una canottiera traforata, make-up stile marilyn manson ed un rossetto importante. Nella vita fa il paramedico. Nel locale ho conosciuto un sacco di europei, molti dei quali provenienti da est: cechi, bulgari, rumeni... ed anche una portoghese che sconfessava drammaticamente l’affermazione “le ragazze portoghesi sono dei cessi”. Aveva un vestito luccicoso e le ho detto “ehi ma abbiamo addosso lo stesso vestito! ah no scusa è il mio riflesso nel tuo” (semicit.). Ha riso dimostrando di essere pure simpatica. Stand up for the europeans.
Rileggendo quanto ho appena scritto mi è venuto in mente un momento significativo di quest’estate. Era il compleanno di Ciro ed eravamo da Pinè a mangiare (so che molti di voi adesso staranno pensando: “cazzo, Pinè. dobbiamo andare da Pinè. mò chiamo gli altri”). 18 luglio. Ero stanco morto perchè avevo dato l’ultimo esame nel pomeriggio ed avevo festeggiato coi miei compagni di corso nel solito bar bolognese. Un mal di testa incredibile. Quella sera Pinè era in botta ed oltre a cucinare carne in quantità aveva trovato un perfetto compagno di discussioni in Bede, che lo istigava a parlare chiedendogli “delle sue origini rurali”. Bede, serissimo e senza traccia di risate, gli buttava giù domande su com’era la vita quando era bambino e quando lì “era tutta campagna” (cit.): la cosa risultava parecchio divertente perchè dove abita Pinè, lassù in mezzo al nulla, è ANCORA tutta campagna. Pinè, ripensando al suo lavoro nei campi, ha detto “si lavorava coi buoi. potevi fare un sacco di lavoro. i buoi sono come gli uomini, la loro forza non la puoi misurare. puoi misurare la forza di un cavallo, ma non puoi misurare la forza di un uomo”. E’ seguito un brindisi per Pinè, con vino sangiovese. Quando torno mi ci portate? Grazie.
A presto, presto.
 
posted by bito at 07:32 | 6 comments
23 ottobre 2006
Martedì è successo un fattaccio brutto brutto. Protagonista: Joris. Si era presentato a casa mia, a metà serata, dicendo "vado a prendere delle birre e torno qui che ci guardiamo un po' di partita in tv". Per la cronaca trattavasi di Manchester United - Copenaghen. Parentesi: in Sud Africa hanno una venerazione non esclusivamente calcistica per l'Inghilterra ed il life-style inglese. Ciò può essere considerato strano, se si pensa alla rivalità ed ai conflitti anglo-boeri del passato, ma così è: per i giovani sudafricani andare all'estero significa andare "overseas" (namibia, zimbabwe e altri paesi africani non li considera nessuno) ed andare overseas significa andare in Inghilterra. Ovviamente per Inghilterra intendo Londra. Tema dibattuto con diversi soggetti, i giovani da me interrogati mi hanno spiegato che ad influire in questo strana idolatria sono principalmente i fattori linguistici e "burocratici" (lavorare e vivere in UK è molto facile per i sudafricani, per via dello status di ex-colonia e bla bla bla). Va bè ma mica esiste solo l'Inghilterra, dico io con tono piccato. Ed incomincio a rovesciare sul tavolo una serie di robe tipo "fa freddo, piove sempre, paglie e birre costano un'indecenza, c'è casino, la vita notturna poi non è speciale, la regina è antipatica ed il principe carlo è ricchione". Tutte cose che so per sentito dire e che sfiorano il luogo comune a più riprese. Come siamo arrivati qui? Ah si il calcio. Il calcio inglese mi infastidisce. Ma dicevamo del fattaccio brutto brutto. Joris è tornato dal negozio delle birre ed ha suonato il campanello. Lascio la MACCHINA qua fuori, mi fa, tanto sto solo un'ora. Avete già capito cosa sarebbe successo subito dopo, perchè una parola nella frase precedente era scritta in maiuscolo. MACCHINA, ho scritto macchina in maiuscolo. Ora che anche i più storditi di voi hanno compreso, lo urlo: GLI HANNO FOTTUTO LA MACCHINA! Dopo un secondo tempo inutile e tedioso (il calcio inglese mi infastidisce), con un occhio aperto e l'altro già dormiente ho accompagnato Joris al cancello. "Avevo parcheggiato qui?" mi fa. "Ma questa è una (cit.)!" rispondo io, pensando ad una colta citazione di quel colto film che è Eurotrip. Poi ho colto che non era una colta citazione. Mi guardo intorno. Strada deserta. "Si" gli faccio. Ed incominciano le imprecazioni che non riporto, così ognuno le può immaginare come più gli garbano. Casa mia è nell'angolo di un isolato, toccata da una strada di scorrimento illuminata a giorno da una parte e e da una via abbastanza chiara e tranquilla dall'altra. La macchina era chiusa, con un lucchetto che bloccava il cambio e l'immobilizer. Erano le 10.30. I ladri ci avevano messo pochi minuti. Niente vetri per terra. "Questi ladri hanno talento" ho pensato io, ma solo pensato perchè se lo dicevo Joris invece dei biscotti di Jaak avrebbe mangiato un mio braccio per la rabbia. Denuncia subito fatta alla polizia, "le caricano su un CAMION, le portano in Lesotho e le smontano" dice il poliziotto, "nessuna speranza di trovarla" aggiunge. Il giorno dopo è stato uno schifo, mi dispiaceva troppo e l'argomento "il furto perfetto della macchina di Joris" ha occupato le menti ed i cuori di tutto l'ufficio durante ogni pausa caffè. Ma prima che vi intristiate pure voi, sappiate che questa storia ha un lieto fine. Forse. Intendo dire: la sera dopo la polizia ha chiamato Joris, "l'abbiamo trovata". Miracolo totale e salti di gioia. In questo momento, stanca e caldissima serata di una domenica pigra, la macchina si trova ancora a Ladybrandt, vicino al confine col Lesotho, imprigionata dalla burocrazia. Ma la temibile Mazdamobile ritornerà. Forse.
Giovedì Joris mi ha fatto visita in ufficio. "Un po' mi dispiace per i ladri" mi fa. Ma adesso non esagerare, gli ho detto. Ne avevano presi diversi, aveva detto un pulotto: la macchina di Joris era stata rubata da un gruppo di ladri organizzati che mandava macchine in Lesotho per smontarle a pezzi. "Sti qua rubano perchè sono poveri" ha aggiunto Joris, "non ci sono opportunità", ed abbiamo incominciato come al solito a parlare di Sud Africa, che poi vuol dire parlare anche di grandi e significative differenze. Per farla breve, eravamo arrivati alla filosofia di Robin Hood. Se sei povero, senza lavoro ed hai qualcuno di cui occuparti, rubare non è infamante come quando sei ricco; a volte non è infamante proprio per niente. Ero sinceramente stupito che Joris, coinvolto direttamente in sta faccenda, mi parlasse di comprensione e compassione. Di solito uno è bravo a parole ma quando la sfiga capita a lui cerca solo "vendetta". Pollice alto per il ragazzo, quindi. Pure gli operai che lavorano dietro casa mia per finire i pavimenti e le finestre non se la passano bene. Vivono in una piccola casetta di 30 metri quadrati in 6, forse 7. Non hanno i letti e dormono per terra. Quel coglione del padrone della casa è due settimane che non li paga, e due di loro ci hanno chiesto qualche euro in prestito per comprare roba da mangiare. Non ce li hanno potuti restituire e se ho capito qualcosa di loro sono mortificati per questo. A volte uno entra in casa dalla porta sul retro e ci chiede a voce bassa: "possiamo guardare un po' la tv"? Ovviamente nessuno ha neanche lontanamente l'idea di obiettare. Si siedono e guardano un po' di calcio, se c'è. Come aiuti sta gente? La faccenda è delicata. Ne parlavo l'altra sera con alcuni amici venuti nel nostro giardino per cucinare un po' di carne. Hanno bisogno, ma non chiedono elemosina. E' gente che lavora, orgogliosa. Bisognerebbe, innanzitutto, pagarli per il loro lavoro. Mi vergogno perchè qualche tempo fa vedevo sempre i cani affamati e mi incazzavo (solo tra me e me, per fortuna) perchè gli operai, che in teoria dovrebbero occuparsi di loro, non gli davano niente da mangiare. Poi ho capito come girano le cose (della serie: se non abbiamo cibo per noi lo diamo ai cani?) ed ho incominciato a dargli un po' di roba io a Brando e Brenda. Notavo di più i cani affamati che gli operai in difficoltà. Mi sono sentito abbastanza una merda. Una cosa che posso fare è questa: andare nell'agenzia di affitta case a dire che il signor padrone è uno stronzo. Speriamo che possa servire a qualcosa.
Per il resto, cari signori, tra una settimana andrò a Johannesburg e Pretoria per qualche giorno. Ho alcuni appuntamenti con alcune figure gloriose del panorama accademico sudafricano, le intervisterò e succhierò avidamente un po' delle loro conoscenze. Raccoglierò materiale. Dovrebbe essere tutto molto proficuo. Anzi di più: "LEGENDARY" (cit.). Vi racconterò i dettagli nella prossima puntata, o in quella dopo. In questi due mesi ho visto solo i dintorni di Bloem, e sono estremamente contento di muovermi un po'. Il mezzo è il bus, mi aspettano diverse ore di viaggio ma per la prima volta sono davvero curioso di vedere cosa ci sarà fuori dal finestrino.
Sono passati due mesi e sono in piena accelerazione temporale.
In questi giorni, a parte tempeste di sabbia ed acquazzoni clamorosi (ma è la stagione), brutte esperienze e tutto il resto mi sono anche divertito parecchio. Ho conosciuto tanta nuova gente, niente club ma case e piccole feste. Uno mi ha portato a fare un giro con un maggiolino azzurro vecchio di quarant'anni, ed ho avuto paura. Guidano peggio di noi, quaggiù. Ogni tanto qualcuno mi chiede della mia famiglia, dei miei amici, e allora io sono contento e provo a descrivervi meglio che posso, con parole "non-troppo-complesse", andando dritto alla sostanza. Mò dormo.
A presto, presto.
 
posted by bito at 11:51 | 4 comments
17 ottobre 2006
Da qualche anno ho compreso che nella vita non sempre c'è un vero vincitore, ma spesso ce ne sono tanti fasulli. Visto che in questo tempo sbandato atteggiarsi sembra avere lo stesso valore dell'essere e che nessuno ci sta a perdere, tutti, se possono, reclamano la vittoria per sè. Talvolta si vince insieme, più spesso si perde insieme. A volte il vincitore viene osannato, altre volte denigrato, quasi sempre invidiato. Una delle poche certezze che mi rimanevano è che nello sport qualcuno vince, e la portata della vittoria è chiara, simboleggiata da un risultato o dall'evidenza. Cosa non rara per davvero, mi sbagliavo.
Tutto è iniziato con un risveglio convulso, dovuto a qualcosa di appuntito e fastidioso che mi pungeva nei pressi del sedere. Dopo aver ispezionato la zona con cautela, avendo appurato l'assenza di mosquitos o oggetti acuminati, mi ero raccapezzato. Trattavasi di un attacco insopprimibile di sensodicolpite. Il giorno prima avevo perso tutto il pomeriggio attendendo, in un ufficio kafkiano, che Joris rinnovasse il visto (cosa che tra l'altro non gli era riuscita). Era venerdì 13 e me lo dovevo sostanzialmente aspettare, ma sono un ottimista e speravo come sempre che la sfiga colpisse quello dopo di me. Com'è come non è, ero scomparso dall'ufficio a mezzogiorno ed un quarto biascicando "vado a mangiare qualcosa" ed ero tornato alle 4, pezzato in zona ascellare e con l'ufficio pressochè deserto perchè -si sa- venerdì pomeriggio il virus (contagiosissimo) della fancazzite colpisce un po' tutti. Venerdì sera avevo quindi preso una sofferta ma doverosa decisione: vado in ufficio anche domattina, nel trepidante sabato della finale di rugby. Avevo puntato la sveglia alle 7 come al solito ma mi ero svegliato un po' prima, ansioso di dimostrare un prodigioso attaccamento al lavoro (oppure semplicemente punto nel culo dalla sensodicolpite). Colazione flash ed ero per la strada. Le bandiere non si contavano e tutto mi faceva girare le palle. La gente che urlava. La brezza che brezzava. I bambini che correvano. Il vento che muoveva foglie disegnando traiettorie fastidiosamente irregolari. Il sole che scintillava. I braai alle otto meno dieci di mattina sui marciapiedi. Il campus deserto. E soprattutto... l'ufficio chiuso serrato. Un evento imprevisto significa nuove opportunità. Sedato il mio senso di colpa e compreso quanto insignificante fosse quell'inconveniente nell'ottica di una concezione eliocentrica dell'universo, dopo una rapida capatina nel computer lab ho deviato verso il Waterfront, direzione stadio. Perlomeno scatto qualche foto, ho pensato, così la regalo al Van. L'atmosfera in giro era incredibile, molto mitteleuropea (questa.è.per.saldare.una.promessa-cit.). Ognuno era già truccato di arancione o di blu, ogni macchina esponeva una o più bandiere e la città, ed i semafori, e le finestre, ed i lampioni erano completamente addobbati. Ogni tre secondi pensavo che sfiga non aver trovato i biglietti. Ma le buone notizie diventano ottime quando sono inaspettate. Mentre bevevo una coca in un bar guardando le figure di un quotidiano in Afrikaans, il telefono ha trillato. Hello Mattìo. Il Van, col suo vocione, mi portava la buona novella: aveva trovato due biglietti. Avvisato Joris dell'avvenuto prodigio mi sono diretto verso casa del Van, ansioso di mettere le mani sui preziosi tagliandi. Ad attendermi c'erano nipoti, gatti, figli e gente matta, intenta ad effettuare il warmup della partita. Protagonista indiscusso: il whiskey. Dopo aver mangiato qualcosa e parlato con gli ospiti di rugby italiano (più che parlando sarebbe corretto dire "pagliacciando", visto la mia turbata incompetenza in materia) è scattata l'operazione maglietta e cappellino. L'abbigliamento conta -e deve saper contare almeno fino a dieci (cit.)- e siccome non potevo affermare il mio amore viscerale per i Cheetahs attraverso cori ingiuriosi verso la tifoseria avversaria mi volevo se non altro mimetizzare cromaticamente tra i real supporters. Così fu. Dopo aver trattato sul prezzo come neanche Sandro quando si comprò i bonghi in montagnola in quinta liceo, ed aver pagato -comunque- l'equivalente di uno stipendio medio-alto di un operaio specializzato nella regione del Limpopo, ho indossato una splendida polo arancio ed un cheetah cap (ma non quello con le orecchie da cheetah perchè mi vergognavo). Rintracciato il mio posto (non nel mondo, in curva) con tanta fatica, mi sono seduto e guardato intorno. Joris è arrivato dopo qualche minuto, la notizia l'aveva colto impreparato, probabilmente immerso in piscina, o al cesso.
Saltiamo la descrizione della partita, sappiate solo che è stata estremamente spettacolare e vissuta da tutto lo stadio col respiro sincronizzato. Fine tempi regolamentari: parità. Fine tempi supplementari: parità. "Ora che succede?" ho chiesto spaesato ai miei vicini di posto. "Niente, dividono la coppa", mi sono sentito rispondere. Un sorriso e ho visto la mia fine sul tuo viso (cit.), amico boero. Un senso di morte mi ha attanagliato, quella sensazione che ti prende quando una tua certezza si sgretola e fa *crak crok* per terra. Tutti hanno incominciato a muoversi per andarsene. Non era un bluff. Ora potrei parlarvi per ore della mia concezione di sport, la gioia del vincitore, il saper ricominciare, l'esaltazione, le lacrime dello sconfitto, il dolore, la casualità, l'attenzione, la vita. Se è vero, come dice qualcuno, che lo sport è una sublimazione "pulita" della guerra, allora ci sta che non vinca nessuno. Dopo aver guardato Joris incredulo mi sono alzato ed ho sceso qualche gradino. Un vecchio supporter dei Blue Bulls, completamente di blu bardato (e pure biancabarBato), mi ha fermato e mi ha teso la mano. Mentre me la stringeva con forza mi ha sorriso ed i suoi occhi azzurri erano felici. Lì ho capito che (forse) si può vincere tutti, anche nello sport, ma è necessario concepirlo come una festa e non con quel senso di rivalsa che spesso contraddistingue il tifoso medio ("io sono meglio di te"). Fuori dallo stadio tutti stavano insieme, bevendo e mangiando, celebrando i vincitori. In fondo nessuno aveva perso. Storditi per il sole preso in testa tutto il pomeriggio, io e Joris abbiamo camminato a piccoli passi verso casa del Van. La gente si era moltiplicata ed in cortile c'erano trenta persone di cui non ricordo il nome ma le facce quelle si. Erano le 7.30 e stava facendo buio. "Andiamo in un pub fuori Bloem" mi fa uno. "Venite con noi" ci fa un altro. Un caffè ed ero come nuovo.
Siamo saltati dentro il cassone di un pick-up (finalmente ho fatto anche questa esperienza) con altri 3 e abbiamo cominciato a prendere una smodata quantità di aria sul muso. Sfrecciare nel buio profondo di strade senza lampioni con la faccia cotta dal sole, qualche parola scambiata, vibrazioni a nastro e vento in ogni dove non era poi male. SULEMANI! (cit.) che si va. La serata ha regalato innumerevoli perle. Il posto era magnifico. La mia tipica risposta alla tipica domanda "cosa ne pensi del Sud Africa?" è stata utilizzata parecchie volte, sempre nel segno della political correctness, ma da qualcosa si deve pur cominciare. Fa niente se il caffè che ho bevuto insieme ad una birra era il "peggiore caffè umanamente concepibile", e lo diceva pure Ega. Chissenefrega se era di plastica, mi ricorderò di quel posto anche per quello. Dopo qualche ora, con un mal di testa importante ed una giornata intensa pronta per essere archiviata nel mio archivio cerebrale, siamo tornati a casa. E lì, potete scommetterci, ho dormito per tanto tanto tempo.
A presto, presto.
 
posted by bito at 08:22 | 12 comments
14 ottobre 2006
- Multimediale. Sulla sinistra del vostro videoschermo, sotto la mia faccia brutta e sotto i titoli dei miei ultimi posts, trovate il riquadro "Blogs Atrocemente Belli". Caldeggerei con pacatezza una visita vivace e compulsiva ai link segnalati, in quanto i protagonisti dei suddetti sono individui che hanno diverse qualità nascoste (ma nascoste proprio bene, si lo so). Franz si trova a Buenos Aires e dintorni a cercare risposte tesistiche e a cucinare pasta scadente per ragazze transalpine, Ste appoggia la sua testa rapata su svariati cuscini -sempre di letti diversi, toro- nella brillante Tarragona, l'Ale insegue con una telecamera i suoi pensieri veloci e farà per qualche tempo un certo "cammino" in terra spagnola. Smettetela di leggere i fumetti di Zora (la vampira porno) e spendete qualche attimo laggiù.
- Cinematografò (cit.). Procuratevi la prima serie di "How I met your mother". E' un telefilm americano fenomenale che mi ha fatto compagnia in questi giorni (in realtà in queste notti, dopo l'una). Per chi ha amato Friends, ma anche per chi non l'ha amato (come me), credo sia assolutamente imprescindibile. Forse la cosa più divertente che ho visto negli ultimi anni se escludiamo il bacio di Cocco con la vecchia paonazza nell'osteria di Eger, in Ungheria. La serie non è stata ancora tradotta, è molto nuova: negli States è appena iniziata la seconda serie. I dialoghi si comprendono abbastanza bene, forse potete trovare i sottotitoli e Borio se vorrete vi insegnerà come usarli. E' tutto in flashback e il protagonista è Ted, un uomo che deve spiegare ai suoi figli come ha incontrato loro madre 25 anni prima, nel 2005/2006: nei mesi precedenti all'incontro succedono un botto di storie assurde ma... niente, vedetelo, anche prima di dormire (se c'avete sonno). Un secondo consiglio che potrebbe gustare chi ama Tim Burton e le animazioni fantagotiche è di procurarsi un clip di pochi minuti creato da un gruppo di ragazzi capetoniani chiamato "The Blackheart Gang". Si intitola "The Tale of How". A molti di voi sono sicuro piacerà. Un altro clip parecchio meritevole, stavolta di un regista brasiliano, è "Tyger" di Guilherme Marcondes. Girato a Sao Paulo e ispirato al racconto di William Blake.
- Alimentare. Non mangiate margarina, diventa rapidamente una droga, specialmente se viene spalmata su pane integrale arricchito con vitamine. E' terribilmente grassa, ma è bella dentro. Se poi assaggerete i Romany Creams nello stesso periodo svilupperete una doppia dipendenza: qualche giorno fa erano spariti dal supermercato e stavo per sbroccare tirando cartoni nel reparto verdure. Al loro posto c'erano i "Romantic Dreams", squallida imitazione velleitaria di bassa lega che a parte l'esilerante tentativo di dare un nome al prodotto totalmente assonante con l'originale erano totalmente vomitevoli (si li ho comprati). Poi ricordate di mangiare tanta carne, in ogni momento della giornata, e diventerete dei torelli. A questo punto sono totalmente into la colazione "all'inglese" e non posso iniziare la giornata senza uova e pancetta. Tornare ai sanissimi Special K con latte parzialmente scremato sarà un duro colpo. Troppo duro.
- Linguistico. Non insegnate parolacce a ragazze Xhosa, Zulu, Sotho e Tswana. Adoreranno il suono delle parolacce italiane e le ripeteranno all'infinito, sempre in modo diverso, sempre in modo sbagliato, mischiandole e chiedendovi continuamente di ripeterle. Considerate che non riusciranno a pronunciare la doppia zeta e la lettera "O" ma che vorranno mostrare i loro progressi a tutti i loro amici. Dopo aver memorizzato (più o meno) la traduzione di "dickhead" ("testa di carciofo", semitrad.), una ragazza conosciuta allo stadio ha incominciato a urlarlo contro tutti i maschietti della tribuna in cui eravamo, che basiti non riuscivano a comprendere l'arcano idioma. Poi mi indicava e diceva: me l'ha detto lui. Ed io spiegavo gesticolando vistosamente che la ragazza era scemotta e stava dicendo "sei un ragazzo attraente", in italiano. Se poi considerate che la ragazza che blaterava traduzioni approssimative era gay, il tutto diventa ancora più surreale. Un secondo consiglio linguistico: non affermate davanti a brillanti figure accademiche che avete imparato un sacco di parole in Afrikaans per poi rendervi conto che sapete solo ingiurie ed imprecazioni. Deviare alla domanda "che cos'hai imparato?" schernendovi e farfugliando "ah...ma non so... pronunciarle bene" non sarà DEL TUTTO credibile.
- Di vita. Non andate in giro scalzi per sentirvi liberi. A fine giornata non *vi ritroverete arricchiti per essere stati a contatto con l'essenza della terra cogliendone il significato più recondito*, avrete solo spazzato coi vostri piedacci le aiuole punk della città. L'altro giorno ero in laboratorio e ho visto un ragazzo con una vecchia maglia della Nazionale, di Vieri. Già il fatto che fosse di Vieri mi faceva pensare che non potesse essere italiano, e infatti non lo era. Ne sono sicuro non perchè gliel'ho chiesto, ma perchè era piedinudato. Smettetela tutti e infilatevi le scarpe!
- Logistico/alcooooolico. Se passate da Bloemfontein, il Mystic Boer è effettivamente il locale più carino della città. Sulle pareti ci sono ritratti psichedelici di vecchi mistici con barbe definitive, l'atmosfera è rilassata, ci sono le candele, la legge Sirchia qua non esiste proprio ed i camerieri sono simpatici (se gli lasciate la mancia, circa il 10% del prezzo). Se non lo farete ne soffriranno, quindi fatelo.
- Sportivo. Premessa: *i biglietti della finale della Currie Cup sono andati esauriti in qualche picosecondo, ciòppercui mi arrangerò e vedrò la partita in qualche pub, in mezzo a ragazzoni corpulenti in cerca di qualcuno con cui menare le mani.* Ecco che arriva il consiglio. Se volete salvare la faccia (in senso non figurato) fate finta di non capire niente delle regole del rugby (dovrebbe risultare piuttosto facile), e non considereranno il vostro musetto una meta degna per un loro pugno. Chiedete continuamente lumi sul fuorigioco, esultate nel momento sbagliato, date addosso al terzino, sbattete le mani cantando cori del Manchester United e mentre a fine partita tutto il pub sarà sconquassato da una rissa alla Bud Spencer, voi sarete appoggiati con un braccio al bancone a gustarvi lo spettacolo ed una squisita Peroni Nasdradiuri.
- Banale. Se siete sotto la doccia e la doccia ha due rubinetti (uno dell'acqua calda e uno dell'acqua fredda), chiudete prima l'acqua calda. Otherwise, urlerete "perchè sono così coglione" talmente forte che tutto il mondo lo sentirà, compresa la ragazza dello stadio che -archiviata la parolaccia novella- continuerà a ripetere piuttosto esaltata "coglione" per alcune mezzore.
- Notturno. Dopo le 2 di notte non avviene mai nulla di buono (cit.) quindi spegnete i cellulari, non fate visita a persone, non scrivete mail e non interagite. Dormite.
A presto, presto.

 
posted by bito at 09:29 | 8 comments
09 ottobre 2006
La prima cosa che mi sento di dirvi è che Brodwin C'E', esiste ed è tra noi (quasi). E' tornata qualche giorno fa, quatta quatta, ma segni inequivocabili provavano la sua presenza: un cuscino rosa su un divano, cibo sano in una credenza, prodotti per pulire la casa come se non bastasse il servizio settimanale di riassettamento -appartamenti-studenti, profumi disseminati tra le stanze. Ora posso gridarlo (acciocchè tutti lo sappiano): la conosco. Brodwin, 21 anni, è una pallida studentessa di interior design che ha fatto la pre-primina ed ha cominciato le scuole elementari a 5 anni (invece che a 7 come tutti i mocciosi sudafricani). Viene da East London ma odia quella città perchè è appiccicosa, puzzolente ed umida (sticky, smelly and humid, brodwincit.), si sposerà a dicembre ed ha un bambino di un anno. Dopo la laurea si trasferirà, con ogni probabilità, in Uganda per 4 anni col bimbo ed il futuro marito che avrà un business (che non ho ben compreso) in loco. Il suo moroso vede per lei un avvenire da casalinga a cucinare ed a badare i bambini, e lei è depressa perchè sta studiando per una laurea che non le servirà. In tutta onestà Brodwin, anche se il tuo balordo marito fosse di vedute un ATTIMINO più ampie e accondiscendesse nel permetterti di lavorare, non credo che in Uganda necessitino di designer di interni. Comunque l'ipotesi (a), quella che Brodwin è in cerca di se stessa e c'ha crisi, è sostanzialmente vera: ragazza simpatica, ma stressata all'inverosimile. "Quindi sei sicura che abiterai qui?" le ho chiesto alla fine della nostra conversazione. "Si" mi fa, "non scomparirò". -Oggi, lunedì 9 ottobre, piovosa e afosa giornata primaverile, Brodwin si è smaterializzata di nuovo. Neanche shampoo e bagnoschiuma sono più nella doccia, mannaggia che lo shampoo mi piaceva. A questo punto la verità "la scopriremo solo vivendo" (battisticit.)
Il progetto "farsi-amici-che-torneranno-utili quando-sarò-qui-di-nuovo-nel-giugno-2010-per-i-mondiali" prosegue spedito. Ora conosco qualcuno a Cape Town, Johannesburg, Pretoria e Durban, oltre a persone provenienti da varie cittadine nelle zone rurali e parecchia gente a Bloem. Questo gretto progetto utilitaristico rappresenta in realtà il compimento di un qualcosa che comincia qui, vedendo ciò che accade e le speranze che si muovono. Vorrei tornare quaggiù per incontrare di nuovo qualche amico e vedere alcune cose che mi sono piaciute, incrociando le dita e augurandomi che tutto sia andato per il verso giusto (le strutture finite, i sistemi di sicurezza operativi, le persone orgogliose). In questo weekend che mi è sembrato eterno sono stato ospitato a cena (ovviamente braii forever e vegetali banditi) e mi sono seduto in una tavola con 6 afrikaaner, ho presenziato in uno dei club più cool di Bloem, sono stato allo stadio per vedere la semifinale della Currie Cup di rugby (stravinta dai Cheetahs, la settimana prossima ci sarà la finale contro i Blue Bulls) e sono andato pure allo stadio di calcio per l'intero pomeriggio di domenica (in cui ho assistito a due partite di livello ahimè inquietante). I weekend insegnano parecchio e aiutano a sentirsi a casa. Cerco di frequentare persone "diverse" e sono quindi stato in compagnia di over-30 alla cena, under-24 al club, coetanei bianchi al match di rugby e coetanei poco pallidi alle partite di calcio. Un giorno mi capiterà di stare contemporaneamente con bianchi e neri nello stesso luogo ma non ne sono sicuro. Quando sono entrato in un locale chiamato "Stones" venerdì sera dopo la cena ho avvistato solo un mulatto, mentre allo stadio di calcio oltre a me ho individuato altri tre ragazzi bianchi. Capienza dello stadio: 40000 posti, stadio pieno per metà.
Due tre cose vi dirò. Parto dal calcio. A questo punto posso affermare con certezza che l'atmosfera è differente anche in queste partite. Ovviamente cori e danze con mani buttate in alto, trombe ed un gran casino la fanno da padrone: la rivalità tra squadre però non è molto viva ed i tifosi vanno alla partita più che altro per stare insieme, mangiare, bere, chiacchierare. Come in Italia, alle ragazze 9 su 10 la partita non interessa particolarmente ed i commenti sono principalmente sui culi dei giocatori. Una particolarità che ho notato è che un sacco di ragazzi sono travestiti da donna, in due modelli: ragazza procace, con tacchi e tette enormi, oppure grassa mama, con pancia finta e culone pure. I travestimenti suscitano un'ilarità diffusa e quando i travestiti si mettono a provocare gli agenti della sicurezza ballando sulle transenne e mostrando le proprie grazie il pubblico applaude fragorosamente. Anche gli agenti non riescono a trattenere le risate. Il livello del gioco è basso. Ho visto giocare i campioni di Sud Africa, i Mamelodi Sundowns, contro gli Heart of Oak (ghanesi) e gl Ashanti Gold (nigeriani). Se questi sono i campioni in porta ci posso giocare pur io. I giocatori tentano il numero in continuazione, e lo scopo non è segnare ma prendersi il boato del pubblico dopo aver fatto un tunnel ad un avversario. Per un italiano sostenitore del pragmatismo calcistico ciò corrisponde a bestemmia (fantasiosa).
Il rugby è violento. Lo sapevate? No, cioè, violento proprio. I Cheeths hanno stravinto sotto un cielo carico di pioggia, e sul 24 a 0 un giocatore della squadra avversaria ha dato un pugno feroce in faccia ad un avversario bloemfonteiniano a terra. Prova tv immediata e cartellino giallo per il cazzottaro (10 minuti fuori dal campo). Ma che, stiamo scherzando? Un pugno in faccia con la palla distante alcuni metri e non lo espelli squalificandolo per -chessò- una stagione? Per il cartellino rosso forse devi farti la figlia dell'arbitro a bordo campo, probabilmente. Altra storia rugbystica è che le semifinali sono allietate da frequenti balletti di cheerleaders che hanno lavorato sodo per essere così sode (cit.), palloncini arancio-bianchi svolazzanti in aria, aerei che passano 10 metri sopra la tua testa, gente paracadutata in mezzo al campo, carne secca e gente sbronza (le ultime due cose sono sempre vere -non solo per le semifinali). Oltre a questo c'è chi si porta il barbecue da casa e si mette a cucinare la carne sulle gradinate, durante la partita. Pazzesco. Comunque mi sono proprio gasato.
Un'ultima cosa. Allo Stones un ragazzo che conoscevo ha fermato a sorpresa una ragazza dicendo "lui è italiano". Abbiamo incominciato a parlare e dopo un po' mi fa: "tu non sei italiano. sei sudafricano. fammi vedere la carta d'identità". Le faccio "ok sbirra". La guarda poi mi dice: "è facile procurarsi documenti falsi". Cioè... pensava che io mi fossi fatto la carta d'identità falsa per fare il figo in quanto italiano. Siamo al paradosso. "Puoi andare, ispettore DERRICK" le ho detto.
Ormai è metà ottobre e sono qua da un bel po'. Le cose vanno bene, il lavoro è incanalato e so dove andrà a finire. Questo è molto importante per essere tranquillo e filare sereno. Tempo fa ho visto un filmato -non ricordo dove né quando di preciso- sulla nazionale olandese degli anni 70. In questa storia il fatto che i boeri sono spesso di origine olandese non c'entra niente. Volevo solo dire che nel video che ho visto si parlava dell'allenamento di questa squadra leggendaria che negli anni 70 disputò due finali mondiali perdendole entrambe. L'argomento era il *secondo fiato*. *Quando ti alleni -diceva qualcuno- arriva presto un momento in cui finisci le energie e pensi di non averne più. Se però continui ad allenarti e riesci a superare il momento di maggiore fatica, piano il fiato sembra tornare. Dopo che hai "scavallato la collina" recuperi le forze e corri finché vuoi.* Quando sono arrivato qui e trovavo alcune difficoltà pensavo "tanto il tempo passa in fretta" sapendo perfettamente da quanti giorni o settimane ero in Sud Africa. Ora non ci penso più e prendo con me tutto quanto, consapevole che tornerò a casa tra un attimo e tutto questo mi mancherà. Sono arrivato al secondo fiato, e chi mi ferma più.
A presto, presto.
 
posted by bito at 12:06 | 16 comments
06 ottobre 2006
Bloemfontein, oltre ad eclissi di sole parziali ma ugualmente pericolose per le nostre fragili rétine, primavere africane, gruppi enormi di runners senza fiato che zampettano per il campus in assembramenti di 15-20 persone, persone, dedizione totale alla causa-tesi, notti gelide che creano problemi, considerazioni sulla vita e sulla morte, progetti di spostamenti col Van che mi propone di andare a Johannesburg e Pretoria a visitare altri centri in novembre (ed io CI STO (cit.)), cieli spaventosamente belli e dipinti, solidarietà con l’ideale, succhi di guava che danno dipendenza e che non contengono "preservatives" (per fortuna), fiori che fanno un profumo irreale, ballerine 18enni con tanto di bastone che ballano new york new york in un parcheggio pieno di gente, flessioni, preparativi per un weekend intenso, signore che fanno allusioni, cibo consumato in piedi per strada, caffè rovesciati sulla moquette, cheetahs, bucati improbabili ed imprecisi, telefonate dallo Swaziland, discorsi surreali in italian-sotho con gli operai e fiction mal recitate in afrikaans alla tv... regala misteri.

Saranno state circa le 7.15 quando qualche mattina fa il campanello è trillato. Mi trovavo ancora steso sul letto, avevo premuto "snooze" solo una volta per ritardare il momento fatale del "metto i piedi per terra" ed ero rincoglionito. Drin dran, drin dran, drin dran. Che arroganza. Avendo compreso che la mia sorte era segnata barra sfigata, mi sono messo qualcosa addosso (non per essere carino ma perlomeno per non essere indecente) e sono andato verso l'ingresso. Te Jaak fatti n'altro sonno (cit.), mannaggia a te e a chi ti butta giù dal letto. Apro la porta e davanti a me c'è Brodwin, la ragazza che in teoria abita con me. L'avevo vista solo un'altra volta in camera sua con un bambino ed un ragazzo, e Jaak (che l'aveva vista precedentemente) aveva ipotizzato che il bambino fosse suo figlio. In ogni caso in casa nostra non aveva mai passato una notte, perlomeno in questo mese e mezzo di mia residenza bloemfonteiniana. "Hello Brodwin", le dico mentre mi gratto la testa e le apro la porta a sbarre. Lei mi guarda stranita poi mi fa "ma tu sei il tipo di obitowhereartthou?", così a bruciapelo. No scherzo, non me l'ha chiesto. Comunque ci presentiamo, le chiedo se abiterà con noi da adesso in poi e lei risponde si. Poi evito di fare altre domande e corro a vestirmi mentre lei incomincia a fare il letto in camera sua. "Buona giornata" le dico. Poi esco.
Ora, dopo 4 giorni, Brodwin è sparita di nuovo, lasciando in bagno dentifricio shampoo docciaschiuma ed un coso rosa che serve per fare profumo. Non l'ho più vista da quella mattina e non ha mai dormito in casa nostra, gettandomi nell'inquietanza. Ho formulato qualche teoria sulla vicenda-Brodwin. Le sottopongo al vostro giudizio:

a- Brodwin è una ragazza in cerca di se stessa, come molti giovani del resto. Non riesce a vivere da sola e preferisce stare dal suo ragazzo (si dà per scontato che il tipo con lei ed il bambino fosse il suo ragazzo).
b- Brodwin non esiste ed io sono schizofrenico.
c- Brodwin appartiene alla setta dei raeliani e sta seguendo un corso nella vicina chiesa di Raél per poter essere clonata e vivere in eterno. Ovviamente, non in questa casa.
d- Brodwin è l'impersonificazione impersonificata della mia parte femminile. Sto lottando perchè non prenda il sopravvento ma la vedo dura.
e- Brodwin è una barefoot e cammina a piedi nudi per i prati, libera e felice.
f- Brodwin è una spia del KGB e parla nel sonno, in Afrikaans. Convinta che io possa comprendere quello che dice, per proteggere gli intrighi segreti dell'Unione Sovietica dorme nascosta nella cuccia verde di Brando.
g- Brodwin, come tutti noi, è fatta per il 90% di acqua.
h- Brodwin è un essere impertrovabile (cit.)
i- Brodwin è Jaak travestito, con una parrucca e la barba color carne. In effetti, quando ho visto Brodwin, Jaak era a casa nel northern cape o in camera sua a dormire... FORSE.
l- Brodwin aveva visto troppo.
m- Brodwin è vegetariana ed è scappata con Massi alla ricerca di verdi verdure.
n- Brodwin è un'entità aliena proveniente da Venere, ed il freddo parossistico che c'è in casa nostra la notte non le permette di deporre le uova.
o- Brodwin non è altro che un'allegoria dell'acerba società americana di inizio 800: puritana, laboriosa, ingenua, in continuo movimento e sfuggente. Infatti, dopo aver lavato i piatti che giacevano sul lavello da 3 giorni ed aver sistemato la cucina, ha dimenticato le sue cose in bagno ed è andata da qualche altra parte, scomparendo.

Queste sono solo le ipotesi SERIE che mi sono venute in mente e secondo me sono tutte egualmente probabili. Se la vostra testona partorisce un'idea geniale per piacere segnalatemela. Il più originale riceverà in premio un "càffi masciato" (pronuncia sudafricana di "caffè macchiato") al bar pseudoitaliano del Waterfront di Bloem, offerto da Brodwin. In alternativa avrà il privilegio di possedere il coso rosa che serve per fare profumo in bagno. Astenersi perditempo.
A presto, presto.


 
posted by bito at 08:46 | 5 comments
03 ottobre 2006
L'altra sera era caldo e Jaak era appena tornato a-a-abbronzatissimo dalle vacanze primaverili passate a casa, nel northern cape. Dopo aver fissato assorto un punto nel vuoto per alcuni istanti mi ha chiesto: "ti va di andare fuori a fare foto?". "Per i fiori è buio", ho risposto in automatico, dando tutto per scontato come spesso mi accade. "Ma io voglio fotografare le LUCI" mi fa. Ancora annebbiato nella testa per i fumi della pasta Zara e non avendo ben compreso che cosa intendesse dire, ho detto "OK" col tono di voce di Forrest Gump quando Bubba gli propone di comprare insieme, dopo la guerra, una barca per pescare gamberi. Jaak voleva fotografare le luci delle macchine creando quelle piccole scie luminose a mezz'aria che spesso si vedono nelle cartoline. Dopo un po' di prove siamo riusciti a fare qualcosa di buono, credo: due sgabelli di legno per tenere la macchina fotografica alta e completamente immobile (l'obiettivo rimane aperto per un minuto circa), punk-aiuola in mezzo a Paul Kruger street, guardami le spalle che io fotografo e via andare. Un piccolo risultato è questo qui, ma dovremo provarci ancora: ciò che ci rende orgoglioni sono le luci dei lampioni che sembrano stellucce.

Forse ce l'ho fatta, ho sconfitto questa forza MALA (cit.) che mi inseriva nella triste realtà del "sei bianco e quindi passi il tempo, ti confronti e ti diverti esclusivamente con altri bianchi". La sconfitta è stata definitiva ed inappellabile (tipo il secondo gol alla germania, andiamo a berlino beppe) quando sabato sera dopo il concerto sono entrato in una specie di disco club nella township in cui ero l'UNICO bianco. Una cosa allucinante e vi giuro che non me lo dimenticherò mai, ma andiamo con ordine.
La serata è stata composta da due momenti: concerto e post concerto. Joy mi è passata a prendere alle 8 con Lengie, un'altra ricercatrice del centro. Età delle due: 30 e 27 anni. Lingue principali delle due: zulu e sotho. La zona delle township è molto povera, ma alcuni locali notturni stanno spuntando ed è un gran bene perchè portano lavoro, soldi e allontanano un po' la miseria. Il locale del concerto ha un nome (al solito) impronunciabile, qualcosa tipo *hsosopoeidi*, e la clientela è mixed. Dico mixed e significa tavoli di bianchi e tavoli di neri, ma è già qualcosa. Generalmente l'età è dai 30 in su. Comunque locale molto carino, ce ne fossero, luci basse e musica dal vivo. Ci sediamo al bancone, il primo degli svariati giri lo offre Joy. Dopo qualche minuto cadono i ruoli, le formalità svaniscono e ci si incomincia a divertire. Risate di gusto e tante cose nuove imparate. Mi piace parlare con loro perchè leggono la realtà in maniera spesso opposta ai molti ragazzi bianchi con cui ho discusso, permettendomi di affermare "esiste ottimismo in questo paese". La verità sta nel mezzo? Preferisco pensare che stia dalla parte di Joy e Lengie, anche perchè mi sto lentamente accorgendo, con grande dispiacere per il mio progressismo idealista, che i più chiusi sono i ragazzi (bianchi) in età universitaria. Una ragazza nel campus mi ha detto: "se qualcuno ti chiede soldi non ne dare. La prima volta ti ringraziano, la seconda ti tagliano la gola." Ed io a rispondergli: "ma scusa, non te la possono tagliare anche se non gli dai un cazzo?". Un brutto vivere per i ragazzi (bianchi) quaggiù, vittime -più che altro- della paranoia. Vedremo se cambierò opinione, ma il Van fa bene ad essere preoccupato di ciò che succede nel campus. Comunque anche l'inglese dopo pochi attimi si scioglie e questo è positivo perchè posso provare a esprimere qualche concetto astratto usando condizionali ed ipotetiche. Come mi ha ripetuto mille volte la mì madre durante elementari e medie, le parole veicolano il pensiero e ci permettono di esprimerlo. Se non le conosciamo, non riusciamo a dare un nome alle cose ed alle sensazioni: estremamente frustrante, ma va sempre meglio.
Il concerto vede protagonista una grassa MAMA con una voce inverosimile, accompagnata da un chitarrista anchilosato -tipo robottino, gomito bloccato e guitarra tenuta altissima, veramente poco rock, della serie: se quando fai l'amore stai messo come quando suoni amico stai messo male-, un bassista piacione con un movimento di anca pericoloso e potenzialmente ingravidante, un tastierista minimale e schivo ed un batterista virtuoso e precisino. Il repertorio è costituito principalmente da vecchi standard jazz riarrangiati e da alcuni pezzi locali. Il tutto è molto molto godibile, la gente spesso impazzisce ed è normale vedere qualcuno che si alza ed incomincia a dondolarsi rapito dalle note di Robottino & Piacione. Ogni volta che sento qualcuno suonare jazz penso che questo genere possa insegnare qualcosa: la musica si costruisce insieme con piccoli mattoncini, spesso improvvisando su uno schema prestabilito ma con ampia libertà, modulando note come si modulano parole quando si parla. Perchè il tutto suoni "rotondo" e "fruttato" (tg5gustocit.) è necessaria una grande coesione, forse un sentimento comune, ed ognuno si insegue senza alzare la voce, senza sovrapporsi, senza prevaricare. Ci godiamo il tutto burlandoci del chitarrista anchilosato e delle espressioni compiaciute del bassista. La mama si prodiga in lunghi monologhi sulla vita di coppia in Africa che generano un'ilarità diffusa, ma l'accento è talmente pronunciato che spesso devo simulare una completa comprensione, cosa -vi dirò- piuttosto frequente per me quaggiù. Quando si fa per andare via penso che la serata sia conclusa. Ma sono stato sciokko: le due mi vogliono veramente sciokkare, e dopo un veloce ripensamento sulla via di casa mia si sterza verso un'altro locale nella township.
Il disco club, facciamo finta si chiami *iskeiaha* sorge in mezzo al nulla e parcheggiare non è il problema principale del luogo. Ingresso libero, locale davvero curato con tutto al posto giusto. Appena entrato mi giro piroettando a 360° e no, non ce ne sono altri. Dico "okkei", penso "che svolta", poi deglutisco tipo paperino quando zio paperone si incazza, mentre le facce della gente mi confermano che è parecchio strano che io sia lì. Sono tutti studenti e l'ambiente è davvero amichevole: diversi ragazzi mi stringono la mano (sempre in un modo diverso, sorprendendomi ogni volta) e sorridono dandomi il benvenuto mentre diverse ragazze mi toccano il culo o strusciano il loro e questo secondo Lengie è un modo per dire "siamo contente che tu sia qui". Grazie Lengie avevo intuito fosse qualcosa del genere. Nota Bene per Andri: se vieni in Sud Africa compri una casa al piano terra, nella township chiaramente, dopo due ore che sei atterrato. La musica copre ma non troppo, si può parlare. Pochi minuti dopo essere entrato ho capito che "si, avevo parcheggiato qui" (cit.), perchè il modo di ballare è completamente diverso e divertente, molto tribale, urletti, claphands, cori da stadio con tutti che cantano, persone in cerchio ed uno a turno che si dimena nel mezzo, gente matta che ride. L'impressione è che qui nella township la disco serva veramente per stare insieme e celebrare qualcosa, con una gioia che non si può fare a meno di notare. Mi ritorni in mente, o bigia discoteca della riviera romagnola stile "tu stai al tuo posto che io sono qua per farmi vedere", in cui lo scopo non è esattamente incontrare gli altri, la musica ha un volume imponderabile, l'incomunicabilità spadroneggia, tutti se la tirano imbronciati e nove su dieci si rompono le palle. Nel seguito della serata chiedo alcune peroni nastro azzurro -qua considerata extralusso, ma a me continua a fare extraschifo- facendomi capire dal barista col mio accento sudafricano artificioso, "nasdradiuri", porto alcuni "brutal fruit" al mango a Lengie ed una coca cola on the rocks a Joy che deve guidare, fraternizzo con un ragazzo con la maglia DAAA MAGGGICA ROMA e dopo un pochetto ancora andiamo a casa belli stancotti. Nel letto prima di dormire occhi sbarrati ed io lì a dirmi: pazzesco.
Jaak domenica pomeriggio mi ha detto "ma te sei matto. io non l'avrei mai fatto. perchè sei andato in quel locale? it's bad man". E io a spiegargli che tutto era al posto giusto, le persone contente che io fossi lì, perchè non ci andate anche voialtri gli ho chiesto io. Ma forse potevo semplicemente replicare come avrebbe fatto Stefano, chiudendo la conversazione col suo accento napoletrentino: "Perchè ci sono andato? PER FAR VERSI!" (finalcit.)
A presto, presto.
 
posted by bito at 08:26 | 11 comments