29 settembre 2007
Il disco dei thrills che rambo mi ha regalato perchè giaceva mesto nella sua edicola da mesi e *poi tanto nessuno di quelli che passano da qui comprerebbe un disco dei thrills, neppure a 2 euri*, questa settimana mi è sembrato pieno di canzoni bellissime. Fossi uno scrittore di musica rock plastico come il compianto mr. bangs, però, mi gratterei la faccia e direi: "fuckup questo disco fucked è pieno di melodie che... fuck! non fossi un maledetto snuff-a-fffack oramai me ne sarei stancato, ma... sarà il periodo mad-da-faccar, mi garba!". E insomma c'ho la testa piena di coretti da prenderci il sole in faccia, a momenti lascio tutto e mi metto alla ricerca dell'onda perfetta. Ho tutto pronto, me ne vado a vienna. Spero solo che come primo contatto con la città, prima ancora di addentare piatti generosi quali il tafelspitz o il powidltascherl serviti da cameriere trecciolute, lentigginute e dalle gambe tornite, qualcuno non mi dica "ah ma sai, qua ti devi vestire a cipolla" (cit.) perchè io l'idea di vestirmi a cipolla... non so, è proprio l'espressione che è sgradevole, mi fa venire da piangere, perdinci le parole sono importanti (nannicit.). Ora. Naufragati per il momento i progetti paralleli su cui mi ero gettato anima e corpo in questi mesi (fondare una comune culturale sugli appennini per rivalutare la figura del maiale, insieme a pasta e sandro; rintracciare l'autore del graffito "CON MILINGO" presente su una strada di milano e produrre scompiglio insieme a lui/lei all'annuale convegno dei preti spretati, che sue mi ha detto avvenire nella di-lei-nativa sorrivoli; scappare dal regno dell'acqua cavalcando un delfino) mi posso dedicare solo a vienna, vienna. Vienna. Prometto, starò qui fino a marzo. Vienna.
 
posted by bito at 12:36 | 4 comments
21 settembre 2007
Ieri dal matatu il sole brillava e scaldava come una coperta ed io me ne stavo lì a guardare fuori, tornando a casa dall'amba*. Immaginavo cosa avrei potuto o voluto scrivere di un giorno come questo, ma c'avevo lo stomaco girato e mi limitavo ad osservare attraverso i vetri opachi le impalcature delle case in costruzione, impalcature fatte da pali di legno sottili come stuzzicadenti attaccati con uno sputo di spago. C'erano sacchi pieni di sabbia che tenevano su marciapiedi di terra rossa, insegne improbabili, jacaranda, una moltitudine di colpi di tosse, gocce di sudore, insegne inneggianti alla maratona del 28 ottobre per le strade di nairobi e poco altro. Poi pensavo alle persone, tante impressioni destinate a rimanere tali. Non mi veniva in mente molto, per verità, e ogni tanto non pensavo a niente: ero solo stordito come dopo aver ricevuto una gomitata sul naso, occhi inondati di smog, e dando un occhio alla borsa assistevo al prequel di una malinconia, titolo sugli schermi e tende pesanti *ho sfiorato il kenya* (incasso al botteghino, meno del mitico film tombiano *alex l'ariete*). Mi hanno telefonato l'altra sera da un numero sconosciuto: non ero arrivato a rispondere e mi ero detto avrà sbagliato. Ieri mi aveva richiamato lo stesso numero e sue mi aveva portato un cellulare pesante pesante nell'ufficio in cui mi trovavo, e ho risposto io, mi fa, e chiamavano da vienna, e dopo aver aggrottato fronte/sopracciglia avevo realizzato che quell'application distante mesi era stata finalmente accettata. Ma? Sì? Sì. Vai, sei tu il nostro ariete (cit.). Insomma, la faccio breve: oggi parto per tornare in italia, e da lì andrò per 6 mesi a vienna, sede dell'agenzia dell'unione europea per i diritti fondamentali, mi garantiscono il necessario per vivere in maniera autosufficiente e possibilità da esplorare, prospettive addirittura, spero anche valore etico, e in pratica dovrei essere felice come una pasqua per questa carta che mi trovo in mano e che sento valere molto, perchè in fondo io proprio all'UE volevo andare a parare. Ogni volta non è facile partire, lo è ancora meno se devi partire da dove sei appena arrivato, l'amba*, che ormai avevo imparato i nomi, queste strade che si congelano alla mattina, sueleonogiulio, il cielo dannoso e pure sti gingilli vagamente ambigui atti a soprammobiliare casa. Ieri meny ci è venuta a trovare nell'appartamento e ci ha fatto ridere, con quel suo sorriso da pinguino, e mannaggia sto qui da mò (cit.) e com'è possibile che sia già faticoso volarsene via? In amba* mi han detto "vai", il sottoseg. mi ha detto "vada", e così un po' tutti, anche il portiere che sta all'ascensore a momenti mi buttava giù, e quindi sto qui col biglietto in mano, le tasche piene di cose, il primo ottobre inizio questa avventura in terra austriaca e ciao con la manina. Fa niente che il mio duna-stipendio si sia bruciato con 3 biglietti aerei non rimborsabili e qualche notte in nairobi, il più è l'interrompere ciò che si è appena iniziato, non fosse per questo sapore che resterà in bocca per un po'... ma bisogna giocarsi le sorprese, tirare respiri e dire sì.
 
posted by bito at 07:56 | 13 comments
17 settembre 2007
Arrivo in kenya giovedì 13 e non si vede niente, fa freddo e piove. L'aereo della british londra-nairobi, un boeing sterminato con due piani, 4 hostess non-recentissime e un numero imprecisato di posti vuoti, è partito pochi minuti dopo la fine di una corsa furibonda in cui io e sue abbiamo attraversato heatrow maledicendo la british-bazza per il ritardo di 40 min del volo milano-londra. "Ma ce l'abbiamo fatta" c'eravamo detti addentando un gommapanino alla salsa di tonno -roba che neanche la crema spalmabile spuntì degli anni 80- e deglutendo faticosamente un amaro calice di aranciata amara. "Speriamo solo che ci abbiano caricato anche i bagagli", avevo aggiunto corrucciato, ma poi avevo scacciato l'incertezza a furia di daje, *U-chhh*, occhiolino di sicurezza, scene, cinque alti e stai manzo col piglio mansueto dei bovini, che arrivano. E per arrivare arrivano, ma nel mio caso con l'aereo dopo. Quindi, e ritorno all'inizio, arrivo in kenya e oltre al non vedersi un cazzo per la coltre di pioggia maledetta che trasuda come l'ascella del fratello di susanna, ecco, non c'ho neppure il bagaglio. L'anno scorso avevo aspettato 12 ore l'aereo per Bloem, quest'anno 12 ore la valigia: c'è da dire che, se si trattasse di aspettare sempre solo 12 ore per avere qualcosa a cui si tiene, firmerei qui col sangue della zanzara cicciona che ho appena attaccato al muro. Ad attenderci in aereoporto c'è pita, mitico tassista kenyota che in due giorni io sue ed eleo abbiamo reso il tassista più abbiente di nairobi, ci ha già presentato a tutti i suoi amici tassisti e ho notato che questi lo guardano con una modica malevolenza, perchè pita ha trovato le galline da spennare (e tra quelli col culo a piume ci sono pure io). In realtà pita è onesto, ma ha un po' l'attitudine tipica del prendersi il braccio se tu gli dai una mano; considerando che deve anche guidare, non rimanendogli arti liberi guida col culo. Pita ci viene a prendere perchè è uno dei tassisti che attende con impazienza davanti al newkenya lodge occasioni di lavoro, e mi era stato segnalato dal proprietario dell'ostello quando avevo chiamato dall'italia qualche giorno fa. Mentre guidava l'altra sera utilizzando solo prima-seconda-e-terza che forse le altre marce pare brutto, portando dall'aeroporto al newkenya un me medesimo avvilito e pieno di bile per la non-valigia nel bagagliaio e una sue proto-addormentata, muoveva freneticamente le manopole del cruscotto, cic-ciac e cri-cri per spannare ma zio billy qua non si spanna niente, oh pita. Ma dov'è il kenya che io vedo solo nebbia? sbuffavo tenendo i pugni sotto il mento come britney e allora per fortuna che la conversazione era rotolata sul calcio e calcio più italia fa *CANNAVARO!*, *cannavaro eh!* mi urla nell'orecchio pita in preda alla foga, rendendo instabile l'aderenza delle ruote sull'asfalto, e mentre grida *cannavaro!* per la n-esima volta si incomincia milagrosamente a spannare il parabrezza, che sia stato l'alito di pita oppure le manopole mosse con estro non lo so. So solo che l'indomani la mia valigia era bel bella all'aeroporto, e pita mi guardava sorridente, annuendo convinto -nel giusto- che il mio buonumore gli avrebbe pagato la colazione. Diavolo di un pita. Il newkenya è una sistemazione di passaggio, sia per me e sue che per l'acqua della doccia che passa sui corridoi dell'ostello *perchè lo scarico non c'è*, fluisce nella grondaia e da lì si incespica direttamente nel cortile interno. Rock n' roll. Al suo interno una multiculturalità speranzosa, 5 euri a notte, diversi tipi di insetti ibridi leggendari come lo scaratopo e diversi tipi umani: giapponesi, francesi, indiani, sudafricani, mozambicani e il proprietario kenyota con la maglia della nazionale italiana del periodo 2000/2002. Mentre sue si lava e l'acqua del risciaquo scorre sotto i piedi di chi passa io faccio la guardia alla porta insieme a kali, francese delle colonie che lavora in una ong a 4 ore da nairobi e che mi dà consigli utili di sopravvivenza urbana (cit.). Bastano pochi minuti per scordarci di domenech, solo risate e niente fischi all'inno avversario. La notte si dorme in una stanza da 4 occupata da me e sue, reti anti zanzare sopra il letto e un sonno malvagio. Venerdì ci svegliamo in mezzo a nairobi. La megalopoli moderna si confonde col fango delle strade, che sembrano disegnate col pennello e vengono solcate da auto che fanno un puzzo così ragguardevole che -quasi- c'hai rispetto. Il traffico di nairobi è incredibile, increscioso e in crescita man mano che ci si avvicina alle 6 di sera: lo smog pervade ogni cosa come slimer dei ghostbusters, e pure noi contribuiamo attraversando la città da un posto all'altro tra taxi e matatu (pulmini-taxi con 10-12 persone e musica reggae sparata ad un volume oltre il bene e il male). Con sue e eleonora passiamo in amba* e segnaliamo la nostra presenza, siamo entusiasti e l'ambiente pare più che egregio. I dubbi si sistemano, i pensieri sembra che girino, molto spaventa meno e incominciamo a fare ordine. Ci trasferiamo in un residence dal prezzo molto basso che sembra un'oasi: a saper dove cercare, si imboccano le strade giuste e la bolgia diventa misurabile. Capiamo com'è girata la città e incominciamo a visionare case ed opportunità: tra pochi giorni saremo in cinque. Dopo aver affrontato le pacifiche aggressioni dei cargadores dei matatu, gente che ti vuole tirare su e offrire corse da 20 scellini (20 eurocent) con una gioia che io li abbraccerei, le cose si infilano inaspettatamente domenica grazie a meny, amica di un amico del sosia di una persona che lavora in amba* (autocit.), che ci prende sulle spalle e ci dice *ho io ciò che fa per voi, ahr*. Tre chiamate, un colpo di tosse, facciamo dù conti, decidiamo di scartare la casa di una grassa signora indiana che sembrava già nostra madre e dunque l'abbiamo trovata, zona kileleshwa (spelling a caso ovviamente), mercoledì ci si trasferisce in un'appartamento svolta che sembra costruito per noi. A meny, mentre ci porta verso il residence, annunzio "ti costruirò una statua, in cui brandisci e vibri la bandiera italiana", lei attacca a ridere e smanacciare e rischiamo di finire del fiume accanto a riverside, e per fortuna che ho detto una cosetta banalotta perchè se mi usciva una cosa simpatica saremmo morti. Nel residence, impegnati a mangiare patate, incontriamo un signore italiano che ci racconta delle sue esperienze in africa, di quando ha visto l'incenso uscire da tagli degli alberi che sono come ferite, e di come lui, apicoltore, *sia allergico alle api*. Non ridiamo, immaginiamo che stia per prendere le nostre labbra pendule per lo stupore e ci chiuda la bocca. "D'altra parte", fa, "quello delle api è un mondo *troppo* perfetto, mi stupisce ogni giorno. Io non riesco a non esserne affascinato". E il qui presente, che di api non sa un cazzo, non aggiunge altro e domani si compra il miele.
 
posted by bito at 07:33 | 11 comments
12 settembre 2007
Mentre mi chiedo come può essere così semplice quest'anno chiudere la valigia -quando l'anno scorso neanche coi lucciconi agli occhi ed i paternostri- realizzo con sgomento che o quest'anno parto più sgamato, oppure ho dimenticato qualcosa di fondamentale. Fa lo stesso. Vado in Kenya, questo paese qui riportato nella cartina rigorosamente in bianco/nero, parto tra poche ore e principalmente scrivo per procrastinare (sic) il più possibile il momento in cui io sarò *pronto*, bello-addormentato uber alles, quindi per adesso lasciamo fuori la macchina fotografica, i biglietti, il passaporto e le lenti a contatto. Nairobi è all'equatore, 1600 metri in su, è una megalopoli dell'africa centrale. Tanto diversa da Bloem, che fondamentalmente era 1600 metri in su pure quella ma era drasticamente rurale e camminava piano e orgogliosa. Parto con la testa sostanziamente sgombra ma con tantissime porticelle che sbattono, maledette. Abbandono l'esistenzialismo da caffè. Ho idea di capire perchè sono attratto dall'africa, se ho finalmente eliminato quella compassione fasulla che ci si attacca alle scarpe e se posso davvero fare qualcosa di buono. Sono drammaticamente sicuro che riuscirò anche stavolta a trovare ottime ragioni di entusiasmo. Aveva forse ragione Mauro Andrea quando diceva che non si finisce mai di cercare perchè non si trova mai (cit.)? Aveva forse ragione Sgombielli che blaterava che uno è attratto dai posti in fondo al mondo perché pensa che lì potrà trovare quello che è in fondo a sé stesso? Boh, io non sono sicuro neppure della mia taglia di mutande. 5 o 6? Dipende dal modello? Dipende dal momento? Comunque. Tutto ciò fa parte dell'Inconoscibile, ce lo dice Herbert Spencer che qui vi riporto per il vostro piacere, e la conoscenza è relativa e bla bla, ed il positivismo evoluzionista ha i suoi estimatori bla, andiamoci su dietro -dico io- e domandiamoci, piuttosto, come ci poniamo di fronte ai suoi basettoni da vero ruvido. Poi vi saprò dire meglio. Per ora non mi dilungo oltre, e a presto.
 
posted by bito at 17:37 | 6 comments