29 novembre 2006
Sono a Cape Town da due giorni. Mi trovo in una cucina di una casa in tipico stile capetoniano, semivuota, multietnica (zambia, olanda/botswana, zimbabwe, sud africa) e gentilmente offerta da un amico surfista di Joris. Joris attualmente dorme nella nostra camera-sfacelo dopo una tranquilla serata caratterizzata da pasta, vino bianco e succo di mango. Fuori tira un vento incredibile, e sono appena tornato da una camminata che mi sono concesso tra queste stradine che sono un continuo sali-scendi, piene di case dai cancelli bassi e da bancarelle che vendono vegetali. Il caffè espresso me l'ha garantito un bar totalmente africano (cioè non appartenente ad una delle mille catene di fast food che costellano il sud africa) con il ritratto di nelson mandela sopra il bancone, musica tipo-salsa ed una cameriera dal culo enorme. Mi sono perso a vagare in infradito ormai dolorose in questo che sembra essere un altro paese rispetto a ciò che ho potuto vedere del resto. Ritmi rilassati ma in modo diverso, gente tranquilla, strade pulite, un'aria che asciuga e accarezza, interrazzialità contenta a significare che la gente la vedi passeggiare insieme, guidare insieme, e filare via veloce -sempre insieme- nei minibus che non sono esclusiva dei neri. Ma come sono arrivato fin qui? Cosa è successo in quegli ultimi giorni nel Free State, e come è stato il viaggio? Lungo, il viaggio è stato lungo, e caratterizzato da una profezia mala che poteva significare sventura. Ma dicci di più, Bitazza. Non so, vorrei farvi penare un po'. Ecco perchè scrivo una frase come questa, che serve unicamente a fare volume ed incrementare la tensione. O come quest'altra, anch'essa totalmente inutile (cit.). Nei giorni precedenti alla nostra partenza, avvenuta ad un orario insopportabilmente prematuro di domenica mattina, io e big pansy siamo andati con Joy a casa di due traditional healers, guaritori tradizionali che in sud africa coprono un ruolo fondamentale e che sono oggetto della ricerca di Joris, interessato agli aspetti economici del loro lavoro. I traditional healers sono consultati da una percentuale enorme della popolazione sudafricana e le regolamentazioni sono piuttosto labili: le conversazioni hanno toccato quindi gli aspetti monetari delle loro attività ma anche le modalità di diagnosi e cura. La prima guaritrice si chiamava Diketzo, una donna sempre attaccata al cellulare, piuttosto fredda ma comunque disponibile. La seconda non si chiamava Stiketzo ed era di una simpatia contagiosa, che infatti ci ha contagiato. Ci ha mostrato anche lei i suoi "strumenti", i suoi rituali, spiegandoci come poteva combinare il potere delle erbe e quello degli spiriti per avviare il processo di guarigione di un malato. I suoi contatti con gli antenati hanno occupato una parte consistente della discussione, e ad un certo punto siamo entrati nel suo "tempio". La sua casa si trovava nella township più township di Bloem ed il tempio era costituito da una baracca di mattoni con un bel tappeto rosso sgargiante per terra. Ci siamo levati le nostre scarpe luride e ci siamo seduti con la schiena appoggiata ad un muro. Ad un certo punto mi ha detto "ripeti il tuo nome, scusa" ed io ho tuonato un fragoroso "Matteo!". Alcuni attrezzi che stavano nell'angolo "magico" sono crollati. Ci siamo guardati sbigottiti e poi abbiamo riso, ah ah ah. Mah. Comunque questo presagio non ci ha sventurato. Il resto della settimana è stato costellato da strette di mano/sorrisi/baci, serate fuori a festeggiare, ultime scarpinate sotto un sole accecante, incontri con ricercatrici spagnole, bagagli da chiudere con la violenza e piccole riflessioni. Bloem era vuota e malinconica e come alla fine delle mie estati marittime, quando tutti se ne andavano e le giornate si accorciavano drammaticamente, sentivo che era ora di tornare a casa. Abbiamo riempito la macchina sfruttando ogni centimetro cubo della lattamobile, infilando le vele da windsurf di Joris tra i sedili, ed abbiamo incominciato la nostra traversata del Karoo. La strada che collega Bloem a Cape Town ha una corsia ed è senza guardrail/spartitraffico/stazioni di servizio, della serie che se la macchina ti si rompe puoi abbandonare il volante ed abbracciare la preghiera (semicit.). I paesotti che si incontrano sono generalmente minuscoli e ce n'è uno ogni cento chilometri circa. In un paesotto nel Northern Cape sono entrato in un bar loschissimo in cui la cameriera vestiva un reggiseno verde ed una canottiera nera traforata mentre il gestore se ne stava belbello a petto nudo. A parte queste offese al comune senso della decenza, la cornice che il Karoo ci ha offerto attorno alla lattamobile è stata costituita dalla savana del Free State, dal deserto arizonesco del Northern Cape, dalle colline timide della parte orientale del Western Cape ed infine dalle vallate svizzeresche che ci hanno dato il benvenuto nella regione del capo. In mille chilometri ho visto cambiare cornice mille(mila) volte, ed alcune volte ci siamo fermati anche solo per scattare una foto (anche se ci è sfuggita l'immane tartaruga che attraversava la strada in tutta calma da qualche parte vicino a Beafourt West). Come meta intermedia abbiamo scelto Laingsburg, paese caruccio a 750km da Bloem, caratterizzato da una scelta notevole di Bed & Breakfast e da una triste storia recente di inondazioni, l'ultima delle quali si è portata via 104 persone, nel 1981. Con la testa cotta dal sole ed i pensieri obnubilati dall'aria bollente abbiamo accolto la pausa come una benedizione, e un po' come l'anno scorso, quando ci siamo fermati sul Monte do Gozo il giorno prima di giungere a Santiago, è stata una scelta giusta per godersi le aspettative ancora qualche ora ed arrivare a destinazione in mattinata, freschi e non-troppo-sfiniti.
Cape Town è bellissima, non troppo mitteleuropea (così.anche.sexy.chiara.si.sente.protagonista-cit.) ed in questi giorni che restano me la godrò bighellonandomela con pigrizia e spiaggiandomi vicino al mare. Mentre Joris farà il beach boy tra le onde io lucertolerò con stile. Lunedì e ieri abbiamo incontrato Michela, mia compagna di corso bolognese che sta facendo ricerca a Grahamstown, ed abbiamo visitato i pazzeschi giardini botanici di Kirstenbosch, oltre alle strade dei mercati ed al porto. Abbiamo mangiato burrito in emo-bar di Long Road ed abbiamo discusso perchè Cape Town pare funzionare mentre le altre città sudafricane sembrano avere il fiatone, anche se molti sostengono che a Cape Town la povertà viene nascosta dietro la montagna. Ho tante idee ma non ve le rovescerò qui. Per adesso voglio credere che qui a Cape Town ci sia più fiducia e più impegno, e ciò permette -per esempio- di far diventare realtà case con studenti di tutti i colori, che a Bloemfontein non esistono "per ragioni di ordine". Me ne sto in mezzo a questi colli che un po' ricordano Bologna, fino a che in mezzo agli alberi non si vede quella montagna piatta della foto e la coperta sterminata di luci, e penso che sia parecchio salutare, invece, cucinare insieme ad un ragazzo che mi racconta come suo padre finì da Amsterdam a Gaborone, e come laggiù abbia conosciuto sua madre.
A presto, presto.
 
posted by bito at 18:20 | 12 comments
21 novembre 2006
Venerdì c'è stato il pranzo di fine anno del mio centro di ricerca. Pranzo di fine anno... ufficio... una di quelle cose di cui avevo sentito parlare nei racconti fintissimi di un qualche guascone pelato negli spogliatoi di una qualche palestra, o di cui avevo letto interessanti reportage in brillanti numeri di magazine per uomini, dal barbiere. Ricordo un articolo che suggeriva, in queste occasioni, di non bere troppo per non dire cose imbarazzanti al collega antipatico e di salutare i "boss" all'inizio del pranzo, quando ancora si era in grado di formulare frasi di senso (quasi)compiuto. Grazie tante, ma chi li paga sti giornalisti? Sono gli stessi che ideano le scritte in sovraimpressione nelle trasmissioni notturne di LA9 (ex telemare)? In ogni caso in questi articoli un fondo di verità c'è, anche se sta proprio in fondo. Tutti ben vestiti ma senza cravatte ci siamo abbuffati senza ritegno, in quello che era un pranzo formale all'inizio ma che poi è degenerato tragicamente per gli effetti del cd di r.kelly, infilato a sorpresa nel lettore dalla segretaria. Prima di ciò c'era stato il discorso di ringraziamento del Van, che si era congratulato con coloro che avevano fatto progressi in ambito accademico, e pure con me e Joris, ambasciatori dell'Europa in Sud Africa e futuri ambasciatori del Sud Africa in Europa (cit.). Poi, e qui mia madre sarebbe scoppiata in un pianto salutare, mi aveva pure elogiato definendomi un vero "hard worker" (aricit.) capace di lavorare dalla mattina presto alla sera tardi (combocit.). Che dire, è stato emozionante anche perchè fino a qualche anno fa ho fatto gloriosamente parte della squadra dei "potrebbe fare di più" (cit.) ed è come se fossi passato dal Wigan al Chelsea in un'operazione di mercato da zillioni di euri. Non c'è dubbio, comunque, rimarrò un giocatore dai piedi quadrati e dal talento proletario. Ad un certo punto del pranzo io e il belga ci siamo trovati con 6 bottiglie davanti (2 spumanti bianchi, spumante rosso, birra namibiana, vino rosso fruttato ed una bevanda tipo crema al whiskey ma fatta con le bacche di qualcosa) per colpa di Joy e qualcuno ha preso a chiamarmi Marcello, e ciò significava solo una cosa. NB in Sud Africa quando qualcuno è sbronzo mi chiama Marcello. In ogni caso abbiamo scattato foto che sapevano di saluti, chè qualcuno se ne è già andato in vacanza e qualcun'altro questa settimana sarà a Johannesburg o altrove. E con r.kelly in sottofondo, a cantare di amore e di *baby non posso vivere senza te perchè tu sei... bella baby, e ti amo perchè sei un fiore, e i tuoi occhi sono profondi e mi perdo, baby, e non lasciarmi... puoi sentire ciò che sento sweetheart e capisci ciò che dico baby... love me... I won't hurt you, like a rabbit I'll be sweet and quick...* ecc. io ed il belga ci siamo concessi un viaggetto fino all'aeroporto, per comunicare all'ufficio della South African Airways che non sarò sul volo Bloemfontein-Cape Town, perchè incoscientemente mi farò quel tragitto in macchina 10 giorni prima, "ma per favore non vendete a qualcun altro il biglietto che poi a Cape Town ci salgo sull'aereo, né". E lì nell'aeroporto più piccolo del monTE, in quel rettangolo di asfalto di pochi metri quadrati, è successo il fattaccio. La sfiga di Joris, ricordate? Non si è ancora sopita ed ha spento il cervello del ragazzo per pochi secondi, abbastanza da fargli chiudere la macchina con le chiavi belle infilate nel cruscotto. Ma siamo in Sud Africa, baby (cit.), ed abbiamo chiamato i rinforzi. Un parcheggiatore ci ha detto "conosco io uno", Uno è arrivato con un filo di ferro ed ha cominciato a ravanare, poi è arrivato un altro che sedeva per terra lì vicino e spingeva qualcosa che non capivo, ma poi una vigilessa è arrivata a chiederci cosa facevamo ed è rimasta a guardare stupita, poi ci hanno raggiunto due che giocavano a pallone lì a 10 metri, un altro con la faccia da stordito ed un cappello da pescatore, ed infine il VATE con uno charme che non si poteva non notare ha aperto la portiera in pochi secondi, esclamando "voilà". Tutti e 8 avevano un'idea diversa su come aprire la portiera e discutevano animatamente, un po' come tutti i sudafricani discutono e si prendono in giro quando si tratta di stabilire chi è il migliore braiier, colui cioè che cuoce la carne meglio, che poi con tutte quelle spezie a me sembra sempre uguale. La sfiga di Joris colpisce trasversalmente e qualche giorno prima avevamo fatto l'esperienza di prendere un taxi per andare a prendere la sua lattamobile in un'officina. Sfortunatamente il numero di sto taxi gliel'aveva dato il compagno di casa che gli fotteva i soldi, ed infatti sto tassista mi sembrava strano ma non era strano, era semplicemente andato. Biascicando in un inglese incomprensibile ci aveva spiegato che odiava gli Afrikaaner, che si era trasferito in Sud Africa dall'Inghilterra nel 1973 e che faceva buoni affari. Il viaggio era stato tipo un delirio, che il tassista zigzagava forte, ed alla fine gli abbiamo lasciato la mancia perchè in fondo gli eravamo grati per non essersi schiantato da qualche parte (questione di minuti, credo) con noi a bordo. La mattina dopo, non pago della sera matta in un locale parecchio boero, ho voluto provare l'esperienza cricket. Sotto un sole che dipanava 35 gradi comodi comodi ho incominciato a lanciare palle piccole ma bastarde tentando di colpire disperatamente 3 cilindri gialli di plastica. Nicolas (il figlio del Van) ed i suoi amici hanno provato a spiegarmi i trucchi, ma credo che serva solo della grande ignoranza e la pancetta da bevitore, che pure i giocatori professionisti esibiscono con orgoglio. In ogni caso, quando è stato il mio turno di colpire con la mazza, ho scoperto la difficoltà di uno sport in cui devi ribattere con una storia di legno una palla piccola si ma che fa male (cit.) lanciata contro di te a velocità supersonica. Alla fine ciò che mi ricorderò di quella mattina sarà il sistema proteggi-pacco ed il dolore provato quando la palla mi ha colpito nella zona immediatamente sotto la schiena. Lì ho gridato "ho smesso" ed ho abbandonato il mondo del cricket, che in fondo non è stata attrazione a prima vista. Domenica col Van e vari amici siamo andati in una farm a 100 km da Bloem, direzione Sud-Ovest, in cui due ragazzi di 27-28 anni stanno costruendo una casa per andarci a vivere dopo essersi sposati, tra qualche mese. Lontano da tutte le altre case, a 40 km da un centro abitato ed a 25 da una strada asfaltata, questi due hanno deciso di costruirsi il proprio futuro, insieme a poche cose, un cane salsiccia, un toporatto che potete ammirare in foto e tanto silenzio. Il Free State, ragazzi. Piatto, grande, così calmo. Con persone dalle decisioni così lontane da me, che eppure percepisco come pensate e piene di gioia. Con una strada da percorrere, se si vuole raggiungere Fauresmith, piena di polvere rossa e cancelli da aprire, che ad un certo punto mi sembrava un videogiuoco perchè il successivo era sempre più difficile da aprire del precedente. Con spazi così ampi che fanno paura, eppure alla grandezza ci si abitua, anche se per me che ho sempre preferito i piccoli mondi urbani compressi non sarebbe per nulla semplice. Durante il pranzo da campo ci siamo persi a parlare del viaggio nel Karoo per arrivare a Cape Town, ed alfine ci siamo quasi convinti a fermarci a metà strada, per vedere com'è una notte in mezzo al niente, in Sud Africa.
Ultimi giorni vuol dire anche ultime lacrime, con Elsa che si è mollata col moroso e non si consola, e dire che ho provato a gettargli addosso Brando per trasmetterle un po' di calore canino. Gente che se ne va, gente che mi dice "ci siamo conosciuti per pochi giorni, ma è stato divertente", ed è vero. Jaak che ascolta i Roxette, che non c'entrano niente col mood del momento ma che ben descrivono la sua persona, secondo me, anche se dopo pochi secondi rompono le palle. Pomeriggi che quando piove, piove. Riflessioni e foto in bianco e nero sui miei anni universitari, che stanno agli sgoccioli. Sere calde, sere fredde, docce calde. Caffè alle 11 di sera per tenersi svegli. Vento.
A presto, presto.
 
posted by bito at 07:37 | 15 comments
14 novembre 2006
Signore, signori.
E' iniziata la mia penultima settimana a Bloem, accompagnata da scrosci improvvisi d'acqua che almeno per un po' calmano la polvere. Ultimi sgoccioli di permanenza in questa regione piatta e arida che è il Free State, oramai, ed anche il Van ieri mattina mi ha detto che "time is running out" (cit.), vai a vedere che è un fan dei Muse. Sto mettendo insieme le mie cose, sia quelle che stanno su fogli di carta e su audiocassette da 60 minuti (ché con quelle da 90 il registratore si inceppa), sia quelle che stanno impresse in fotografie, sia quelle che staranno nella mia testa per un po' e forse se ne scapperanno via piano insieme alle cellule cerebrali più deboli, quelle di cui parlava Nico. L'estate bussa che fa un gran casino, quaggiù a Bloemfontein, e ci sono dei pomeriggi che sono così caldi che ti verrebbe voglia di mettere i cubetti di ghiaccio nel caffè, e c'ho paura che il portatile attaccato a quella presa traballante del mio ufficio si squagli tipo la playstation di Nesta. Come la Bologna di fine giugno, bollente e con l'asfalto che ti si attacca alle scarpe, anche Bloem si è svuotata. Nell'aria oltre alla polvere c'è pure un sentore di vacanze, anche se per me quest'estate ha la data di scadenza e sarà una scadenza improvvisa ed improrogabile, 6 dicembre, mica come quello yoghurt alla banana comprato ieri chepperò era scaduto il 2 novembre (ma mosso da orgoglio me lo sono mangiato lo stesso, fermenti lattici all'attacco!!! (autocit.)). Mi trovo a sudare in questa mia seconda piccola-estate, recuperando ciò che avevo perso quando a fine agosto mi ero catapultato in una casa in cui il respiro faceva le nuvolette e mentre ti lavavi i denti c'avevi le stalattiti di ghiaccio che ti scendevano dal naso. Sono entusiasta per le mie cose, contento per il lavoro anche se queste due settimane bisogna darci sotto e lavorare fino a notte tarda, che quel capitolo lo devo finire, e mi sono pure affezionato a Brando, cane scalcinato, che poveretto c'ha il pelo grigio perchè è vecchietto e quando per farlo giocare tiro il copertone che c'è in giardino Brenda lo sovrasta. Nel mentre si progetta il viaggio per Cape Town, che inizierà il 26 novembre con la Mazdamobile di Joris: Cape Town 1010 km in questa direzione, dice un cartello vicino a casa, e sembra una presa per il culo. Proveremo a percorrerli in un giorno in quello che sarà un giorno LEGGENDARIO, partendo la mattina presto con il buio e cercando di evitare di soccombere cotti nella lattamobile, che non c'ha aria condizionata o pugnette varie ma speriamo che almeno i freni funzionino bene. Si guiderà in mezzo alla regione del Karoo, sul lungo nastro grigiastro che collega le due città, passando attraverso paesotti di poche anime in cui ci fermeremo per sgranchire le ginocchia e bere una Cream Soda. Per quanto ho letto e ascoltato il Karoo è una specie di deserto ma nettamente più glamorous, una strada che ogni sudafricano che si rispetti ha percorso con qualche amico in un qualche momento holdeniano di formazione, cercando di raggiungere il prima possibile le spiagge vicino a Capo di Buona Speranza. Dante descrive il paradiso terrestre come una montagna piatta vicino al mare, sotto le stelle del Sud, e tanti credono di riconoscerci le table mountains accanto a Cape Town, un miracolo della natura che quando in agosto planavo con l'aereo mi sembrava di sognare (e considerato il mio sonno in quel momento non mi sento di escluderlo). Paradiso terrestre dantesco oppure no, spero di trovarci qualche altra cosa da portare a casa, anche se come un bambino grasso pieno di lego e videogames sotto natale non saprei davvero cosa chiedere, forse un implacabile senso di tolleranza verso l'ignoto (che fa sempre comodo). Stiamo cercando un alloggio, vagliando qualche casa studentesca lasciata sfitta o una guest house per sdudendi squaddrinadi. Alle brutte sono determinato a fare il bucato tuffandomi coi vestiti addosso nell'oceano gelido, trattare il prezzo del cibo con avventori disperati e chiedere una notte di ospitalità gratuita a ragazze compassionevoli. Nel frattempo, e questo ve lo dico perchè l'ho appena letto, a Cape Town c'è un ristorante italiano che si chiama "Col Cacchio". Muhauahauahaua scusate. Un pericolo insidioso per viaggio e soggiorno potrebbe risiedere nella temibile sfiga di Joris, che ben più seriamente dell'arcinota sfiga di Feccia (figura sciagurata delle mie estati marittime, qualche anno fa) continua a colpire implacabile. Dopo il dente del giudizio che lo costringe saltuariamente a parlare per ideogrammi, la febbrA che lo aveva ridotto a letto (che per lui è pure corto, Joris è quasi 2 metri) e la macchina che gli avevano fottuto ma per fortuna ha riavuto indietro, Joris ha pure tanato un suo compagno di casa che gli fregava i soldi dal portafoglio, più di 100 euri in totale. Joris qualche settimana fa si era accorto delle misteriose sparizioni di alcune banconote ed aveva incominciato a prendere nota di ogni spesa: poi, ormai certo, sabato ha aperto l'acqua della doccia, ha chiuso la porta del bagno, è uscito improvvisamente ed ha zigato il soggetto truffaldino in camera sua. La confessione è giunta inevitabilmente rapida, ma che tristezza, rubare ad un compagno di casa. Tipo rubare in chiesa. Mi viene da sbottare un "a questo punto, professoressa, io mi chiedo che valore ha la vita di un uomo" (cit.)
In questi giorni avventurosi non sono successe troppe cose. Sono andato a correre, per regalarmi un po' di meditazione senza capo nè coda in costose scarpe da running. Mi sono sentito protagonista di un'avventura che neanche Real Tv con quella musichetta intrigante riuscirebbe a rendere interessante: ho trovato un sausage dog (bassotto, ma mi piace di più la traduzione letterale) vicino ad un incrocio, visibilmente smarrito. La mia attività di salvatore di cani salsiccia si è spenta al terzo campanello, quando è comparso il padrone. Ho mangiato intrugli con burro e cinnamon preparati da Elsa. Jaak, tornato a Bloem per dare gli esami, mi ha parlato entusiasta del suo innovativo metodo di power studying (10 minuti di studio mega concentratissimo e 50 minuti di pausa, invece che 50 minuti di studio e 10 di pausa), incensandolo ed autocelebrandolo (il power studying è la più grande trovata dai tempi del pane pre-tagliato a fette (cit.)). Mi ha inoltre fornito dichiarazioni su cui riflettere prima di dormire, sentenziando davanti ad un telefilm con protagonista un omosessuale asiatico "un cinese gay: semplicemente il peggio" (cit.). Una mattina ho scattato qualche brutta foto ai pennuti dal lungo becco che copiosi affollano le aiuole, in queste mattine fresche. Mi godo la quotidianità di Bloem, sapendo che quando vivi la quotidianità di un posto inevitabilmente lo capisci un po'. Come diceva (più o meno) in un'intervista della scorsa settimana Tom Waits, una delle voci più sgraziate ed ineducate che mi muova stomaco e cuore, "la vita in mezzo a tutto questo silenzio scorre diversa ogni giorno, come se si stesse sulla torre di controllo di un aeroporto: momenti di noia mortale, momenti di paura assoluta. a volte la barca è piena di pesci, a volte sei in cerca della tua fede nuziale in fondo all'oceano, a volte il vento soffia così forte che quasi ti strappa la pelle dal viso. qualche volta si fa festa, altre volte c'è carestia. ci sono giorni in cui la mia vita galleggia su un petalo di giglio".
A presto, presto.
 
posted by bito at 09:04 | 4 comments
07 novembre 2006
Due parole sulla vigilia.
Lunedì sera, il giorno prima della partenza, Brodwin ha cucinato per me, Jaak ed Elsa. Pollo e pasta, verdure e vino rosso. Brodwin è fidanzata con un ragazzo indiano che sposerà il 16 dicembre, poi si convertirà è diventerà musulmana. Ciò significa che non potrà più bere, e questa sembrava a tutti una ragione più che ottima per farla rovesciare. Missione: completata. Punteggio: tanterrimi bicchieri di vino “rosè”. Ho scoperto un sacco di cose nuove su Brodwin, rivalutandola un poco dopo la discussione surreale avuta la sera prima al ristorante (Brodwin sosteneva che bere più di due litri di acqua al giorno fosse pericoloso, ed io ero diventato intrattabile). Suo babbo ha abbandonato la famiglia qualche anno fa, mollando moglie e 6 figli. Brodwin, pur essendo chiaramente bianca, durante il periodo dell’apartheid era considerata coloured, “meticcia”: nel suo sangue componenti malasiane, tedesche ed indiane. Occhi strani e testa pure. Il primo fidanzato di Brodwin era italiano, e l’ha mollata quando se ne è tornato in italia, spezzandole il cuore. Brodwin ce l’ha un po’ con gli italiani, ma dopo il vino era molto più simpatica. In casa abbiamo festeggiato il nostro Halloween personale con un giorno di anticipo. Jaak ha scattato “migliaglia” di foto di Elsa con candele e dolcetti, alcune sono molto belle. Forse ne metterò una sul blog, tra un po’ perché non vedrò Jaak fino al 10-11 novembre. Morale di tutta la storia: siamo andati a letto alle 3 ed alle 6.30 mi sono svegliato per prendere la corriera che mi avrebbe portato nella gloriosa provincia del Gauteng.

Nessuno dice Johannesburg, tutti dicono Joburg.
Il Gauteng comprende le celeberrime Joburg, Pretoria, Soweto e anche la piccola Benoni famosa nel mondo per aver dato i natali a Charlize Theron. E’ la provincia più ricca ed industriale del Sud Africa. Il viaggio in corriera è stato abbastanza confortevole, a bordo c’erano pure “hostess” che fornivano caffè in continuazione distribuendo sorrisi bianchissimi. Vicino a me c’era un ragazzo devastato che veniva da Cape Town (13 ore di viaggio), ha dormito quasi sempre. La colonna sonora era costituita da canzoni e risate di grasse “mame”. Lungo la strada, mentre attraversavamo il niente, l’acqua ha iniziato a scrosciare diverse volte, per pochi minuti. Vicino a Soweto, mentre il cielo si squarciava subito dopo un acquazzone, ho visto persone uscire di nuovo dalle baracche, quasi all’unisono. Tutto si interrompe, con l’acqua, per poi riprendere il suo corso naturale quando la pioggia concede una tregua. Come un respiro stanco che va e viene. Come il mio respiro a Joburg, 2000 metri sopra il livello del mare, aria sottile e fresca. A Joburg per l’altitudine un uovo ci mette un minuto di più a cuocere (cit.). Joburg è piena di cose diverse, palazzoni rovinati, macchine, salite e discese, sporcizia, insegne coloratissime, gente per la strada, gente addormentata sui marciapiedi, facce brutte, cocci e vetri rotti, indiani. Queste sono le prime cose che ho annotato. Martedì e mercoledì sera ho dormito in un bed and breakfast di Melville, quartiere abbastanza tranquillo. Nell’ostello l’atmosfera era molto piacevole, piccole stanze affittate a gente di passaggio, quel tipo di gente che porta con sé solo una piccola valigia e sbadiglia la sera perché è stanca morta. Ho conosciuto americane e irlandesi. In Joburg ero completamente solo ma professori o segretarie mi sono venuti a prendere e mi hanno scarrozzato in giro. Ho intervistato figure illuminanti ed ho raccolto materiale. Ho stretto mani, discusso idee, progettato. La gente mi piace, questa è una grande fortuna. Joburg è altro rispetto a Bloem. Di Bloem vedi la fine immediatamente, è una città abitata principalmente da Afrikaaner come Pretoria, è tranquilla e noiosetta. Joburg è “inglese”, perlomeno come idioma, e le persone di quaggiù dicono che sia un incrocio bastardo tra una città americana ed una asiatica. A me sembra semplicemente Africa. Nel pomeriggio di giovedì Ega, la figlia del Van, mi è venuta a prendere nell’ufficio in cui mi trovavo dalla mattina presto. Con lei c’erano suo marito Nico e Joris. Dopo aver scambiato sorrisi infiniti e “grazie di tutto” con i ricercatori di un centro siamo saliti in macchina. Direzione Pretoria.

Pretoria.
E’ estremamente diversa da Joburg anche se dista solo 50 km. Le mille culture sudafricane si riflettono nelle case, nelle strade, nelle facce, nelle idee sempre diverse su qualsiasi argomento. Pretoria è afrikaaner e la città è ordinata e dipinta. Pretoria si stende per chilometri, regolari e senza sbalzi: solo altre salite e discese conferiscono “ritmo” al paesaggio. Non ci sono palazzi alti, non c’è disordine. I bianchi vivono in buona parte rinchiusi in case completamente identiche all’interno di villaggi protetti da muri alti 3 metri e guardie all’ingresso. Ega e Nico vivono in una villetta in un quartiere residenziale, ed hanno un sacco di spazio. L’ospitalità è pazzesca e penso inquieto a come potrò mai sdebitarmi. Ega aveva preparato un programma fittissimo di cose da fare a Pretoria e Joburg, comprendente musei, mercati, strade e quartieri, ristoranti, grotte in aree naturali, stazioni abbandonate del bus e piazze di cui non ricordo il nome. Abbiamo affrontato tutto con grande impegno. Queste “esperienze” mi hanno dato ulteriori elementi per provare a comprendere la gente di quaggiù. Non è semplice: l’impressione è quella di una società che cambia, ma con ferite aperte e visibili. Ogni tanto ciò procura un po’ di disagio, ma il più delle volte è parecchio emozionante, in senso positivo.
Gli afrikaaner amano bere e mangiare, in egual misura. Per questo motivo abbiamo speso il pomeriggio di giovedì in una fiera del “good wine and food”, un’orgia di stand ad uso e consumo di visitatori finto-interessati ma vero-affamati e vero-assetati. Ega e Nico hanno comprato 9 bottiglie di vino (!!!) ed io ho ingoiato assaggini al pesto, sushi vomitatevole ed olive. Ho pure suggerito a Ega di assaggiare il fragolino, vino usato in Italia per “far sbronzare le ragazze” (autocit.). Le ha fatto schifo, ed anche a me. Cosa non si faceva, a Lido di Classe, per dare due bacetti ad una tipa. Nel seguito del weekend ho cercato un po’ di roba ed intervistato professori nell’Università di Pretoria, in un campus completamente avvolto di alberi violacei stupendi, chiamati Jacaranda, e da segretarie dai capelli cotonati come neanche Rettore nel video di splendido splendente. Abbiamo visitato l’Apartheid Museum (ottimo) ed il MuseumAfrica (‘nzomma), girato per strade del centro, mangiato una pizza neanche troppo schifosa, presenziato nella piazza più esclusiva di Joburg (non troppissimo pacchiana, ma ultra moderna ed ultra scimmiottante le piazze europee, con una statua dorata di Mandela, alta 8 metri, sistemata vicino ad una fontana). Abbiamo rischiato qualcosa nel mercato delle medicine tradizionali e dei guaritori, situato in un quartiere degradato, in cui costituivamo un’attrazione niente male per i tanti bambini che giocavano nei vicoli, non avvezzi a vedere uomini bianchi in quella zona. Siamo stati in altri mercati, tra i quali uno decisamente sconvolgente, nel quartiere Newtown, pieno di odori di spezie, gente per terra, stoffe impolverate, libri vecchi e statue lignee. Ci siamo spinti a nord di Pretoria, lassù in alto, per vedere grotte claustrofobiche in cui anni fa hanno rinvenuto i resti di quello che forse è il più vecchio scheletro umano attualmente esistente. Durante la visita guidata una vecchia che avrà avuto parecchianta anni si è infilata in cunicoli con un’energia che poteva derivare solo dall’uso combinato red bull – romany creams.

Parliamo di persone.
Tante, molte quelle interessanti, diverse quelle che mi sarebbe piaciuto conoscere un po’ di più. In uno dei centri che ho visitato a Joburg ho conosciuto persone squisite, con una naturalezza nell’accogliermi che mi ha davvero colpito. A parte la figura illuminante della Prof.ssa S. ed altre facce che nella mia testa rimarranno senza nome, ho conosciuto George, dottorando proveniente da Harare in Zimbabwe, Legoto che invece è nata a Joburg, Kelly di New York City ed Emy da Chicago. Mi sono imbattuto -o ho solamente incrociato- talmente tante persone che come uno sballato nella San Francisco dell’estate del 1966 mi sembra di... com'era il discorso? Avere fatto e non ricordare, non avere fatto e ricordare... Non ricordo.
Nell’Università del Wits ho parlato alcune ore con la Prof.ssa G., di origine israeliana, che alfine si è rivelata amante dell’italianità, convinta sostenitrice del fatto che israeliani e italiani abbiano in comune il gesticolare evidente ed il tono di voce roboante. Mah. Una figura divenuta protagonista di un culto acerbo ma appassionato è Ian, poliziotto quarantenne conosciuto durante il barbecue del sabato sera, che mi ha regalato perle come “tranquillo, in Sud Africa c'è ancora qualche poliziotto non-corrotto” e “Charles De Gaulle e Musolini (cit.) sono in relazione con la Fiat Uno”. O forse non ho capito bene io. Comunque Ian era simpaticissimo, ma sbronzo. Un altro, parecchio notabile ma di cui non ricordo il nome, mi ha detto che conosceva due italiani, tali gemelli Catrello, che a metà anni 80 diffondevano il panico a Bloemfontein con atteggiamenti mafiosi. Ma parliamone, chi erano ‘sti due sfigati? Nico, poeta vate leggendario ed uomo di scienza, a metà barbecue ha risposto alla mia domanda “ma è vero che ogni sbronza uccide alcune cellule cerebrali?” così: “Si, è vero. Ma una sbronza uccide solo le cellule più deboli, non compromettendo quelle attive. Quindi si potrebbe ipotizzare che, aumentando l’efficienza del cervello, uno diventi più intelligente dopo ogni sbronza che prende” (cit.).


Ho fatto un sacco di foto, preso indirizzi, promesso “tornerò”. Chissà. Nel viaggio di ritorno, accompagnato da un sole che a fine giornata ha illuminato il cielo sopra la disertitudine di rosa, ho cercato di raccogliere tutte le cose utili che potessero fornire un po’ di cibo cerebrale alla mia testa stordita dal bus. Si potessero mettere insieme tutte le facce che ho intravisto in questi giorni ne verrebbe fuori un bel ritratto del Sud Africa, forse del mondo. Appena tornato a casa, ieri sera, ho trovato una cartolina nella buchetta: un mese dopo, 9000 chilometri dopo, mezza ammaccata ma leggibile, con la torre eiffel. Grazie Gio.
A presto, presto.
 
posted by bito at 08:00 | 8 comments