04 dicembre 2006
Sono qua col portatile sulla moquette polverosa, e provo a buttare giù quella che spero possa rappresentare una dignitosa "ultima puntata". A meno che non mi capitino avventure memorabili o disgrazie tragico(s)miche non descriverò i miei ultimi due giorni ed il viaggio di ritorno. Perché? Perché oggi mi sento la testa abbastanza leggera ed ho voglia di mettere una piccola parola *fine* a questo blog, che forse riprenderà ad essere aggiornato in futuro o forse no, e che comunque mi sembra abbia fatto il suo dovere. Ieri pioveva a dirotto e sembrava autunno, qua a Cape Town. Nella *prima* mi ero augurato che questo non fosse un blog piovoso, che di pioggia ne cade già abbastanza fuori di qua (autocit.), ed io ringrazio chi di dovere perchè a parte qualche scroscio così non è stato, lacrime di pioggia non ne sono cadute e mai mi sono sentito perduto o troppo lontano. Vorrei mettere parole felici in questa ultima puntata, perchè sono felice: questa avventura mi ha regalato emozioni intense e sento di aver vissuto fino in fondo questi mesi. NB: se al mio ritorno mi ritroverete grasso, pelato o lento nei movimenti non significherà che sono invecchiato, ma che ho -appunto- vissuto fino in fondo questi mesi. Sto per terra con la testa piena di disegni, 24 anni tra pochi giorni, un dente del giudizio che cresce ed un altro sensibile al freddo, e come tutti mi guardo in saccoccia per vedere cosa c'è a fine viaggio. Ora so che le ragazze non pallide utilizzano gli ombrelli per proteggersi dal sole, che a Bloemfontein nei minibus il concetto di pieno viene interpretato in maniera radicale, che alla mensa universitaria per estinguere il mal di testa del giorno dopo ci sono sempre solo zucche dolci, patate dolci e fagiolini, che a sunset beach puoi vedere e fotografare i pinguini, che la pasta all'italiana si chiama "alfredo", che a capo di buona speranza l'oceano atlantico e quello indiano si scontrano ed i baboons attraversano la strada come se non gliene fregasse niente, che la lingua xhosa è fatta di schiocchi, che karoo in afrikaans significa *terra della grande sete* e non mi sento di contraddire questa affermazione, che nel Free State puoi andare in giro scalzo ma se c'hai la ciabatta allora indossi il calzino, che sulle spiaggie del Capo il vento soffia così forte e la sabbia è così sottile che ti punge le gambe come piccoli mosquitos. Ho trovato tanto spazio per riflettere, in realtà, e mi ha aiutato il fatto che la vita quaggiù sembra correre su un binario lento, soprattutto se per dirigerti autonomamente da un punto A ad un punto B non hai altro che i tuoi piedi. Nelle mie pigre camminate per Bloemfontein, in mezzo ad un sole che brillava nella maggior parte dei casi, mi hanno fatto compagnia quei pensieri che si fanno posto da soli, senza che tu lo voglia. In Sud Africa sono stato preso tante volte da quella sensazione strana che si prova quando sei consapevole che non scorderai mai ciò che hai di fronte agli occhi, o il modo in cui ti fa sentire fragile o grande o deciso o innamorato. Guardandomi indietro con la lucidità di un corridore che controlla l'avversario che segue, che non è molta ma è pur sempre autentica, mi rendo conto che una delle cose che tengo con me è l'importanza delle cose non programmate ma capitate e basta. La mia decisione spontanea di cercare una destinazione in Sud Africa ha dato vita ad una catena colorata di decisioni spontanee. Ho provato a non dire mai di no alle proposte che mi sono state fatte, accantonando pigrizia o timore, ed ho messo sul tavolo ciò che avevo sperando che bastasse. In cambio ho ricevuto molto, e spesso ho pensato di non meritarlo.
Gli slanci di ospitalità che ho sperimentato a Bloemfontein e dintorni hanno spesso rasentato l'imbarazzante. Non puoi ripagare un'ospitalità di quest'ampiezza. E' pura, limpida e sincera come l'azzurro inverosimile del cielo che copre il paese. Durante i mesi a Bloem ho capito che le distanze possono essere ridotte facilmente se si gioca senza paura, ed ho preso sulle spalle le responsabilità che erano mie. Tanti suggerimenti, o cartelli come diceva qualcuno, mi hanno aiutato a capire dove andare. Dopo pochi attimi ho visto che le barriere culturali venivano tirate giù, le mani si tendevano e si stringevano con il calore di sorrisi sinceri che mostravano una soddisfazione sincera. Come mi scriveva qualche giorno fa Giacomo dal Brasile, mi sono reso conto che c’è un’umanità di fondo che è uguale in tutto il mondo (cit.). A volte è salutare andare altrove e dare un'occhiata a quello in cui si crede, per controllare se funziona ancora là lontano. I miei mesi in Sud Africa mi hanno confermato che credo nelle persone. Ho sempre pensato che solo le persone contino davvero e che la gente non sia fatta per stare da sola. Ognuno costruisce il proprio modo di vivere su un qualche assunto fondamentale, e la mia vita poggia sulla convinzione che le persone sono buone, meritevoli di fiducia e potenzialmente amiche fino a che non dimostrano il contrario. Il mangiare/bere troppo ed il dormire troppo poco, spesso in compagnia di "personale accademico" ridotto alla sassata (cit.), mi ha mostrato che ognuno ha grandi pregi e grandi difetti e non dovrebbe avere paura di tirarli fuori. Il fare baracca, come si dice dalle mie parti, non è un qualcosa che cambia: nella township come nei barbecue di pretoria variavano gli attori ma non la sceneggiatura, e le parole si scioglievano facili. Per trovare un posto nel mondo, e non mi riferisco ad un impiego, credo di poter ora fare affidamento su qualche tratto di penna, come puntine di metallo su una mappa geografica. Una delle puntine è salda su Bloemfontein, quel posto caldo e polveroso che talvolta mi sembrava fatto di cancelli che si aprivano per poi chiudersi un attimo dopo. Ho cercato di superare l’amarezza che ogni tanto mi pigliava. Ho apprezzato il senso di prospettiva del Free State, ho amato i suoi odori forti, i suoi suoni ed il modo in cui ricominciava a marciare dopo gli scrosci di pioggia di ottobre. Tante volte dopo l’ufficio me ne sono stato lì fuori casa mia, con la brezza nelle orecchie, a chiedermi da dove potesse venire. Era facile, in quei momenti, credere a ciò che diceva la guida di un museo sulla storia dell’uomo, vicino a Pretoria. Diceva che il Sud Africa è il più vecchio pezzo di terra del mondo. Ho amato le persone che ho incontrato in quella città in mezzo al niente. Il Van prima di salutarmi dieci giorni fa mi ha detto commosso che era sicuro io avessi compreso un po' il Sud Africa, che mi aveva aiutato a vedere senza paraocchi o "itinerari per turisti", mostrandomi anche le sue (tante) contraddizioni. Contraddizioni, opportunità: in fondo non sono poi così distanti.

Grazie a tutti, quindi. Io mi sono divertito, spero anche voi a leggermi.
A presto, presto.

 
posted by bito at 12:00 | 13 comments