01 marzo 2008
passeggiavo per casa, e c'era quel silenzio assoluto a cui vienna mi aveva abituato la notte, neanche fosse una casa in mezzo a una valle. il termosifone del bagno aveva ripreso a funzionare da che era risalita la temperatura, era andato in letargo durante l'inverno beffardo, e ora nel cesso faceva 47 gradi, con l'acqua della doccia che ticcava sulle spalle e *me pareceva* fredda. ho svuotato il frigo della roba *passata di là*, ed è rimasto straordinariamente poco, *aldiquà*. birre a metà, l'aspirapolvere, il tirare le sette, i passi snocciolati, uno del piano di sotto che mi ha sempre chiamato mario. notizie tragiche proveniente dal sud africa. lento, leeento. siamo andati a visitare il campo di mauthausen, vicino a linz, durante il viaggio di andata abbiamo ascoltato rock me amadeus e in quello di ritorno abbiamo cantato you're the devil in disguise con una certa foga, per scacciare quella quiete che ci turbava e investiva. avevo fatto foto, ma le ho cancellate inavvertitamente la sera dopo, mentre in un bar coi colleghi mi bevevo un flying kangaroo. erano foto gelide, e per certi versi penso che sia meglio così. ela mi ha invitato a pranzo, poi mi ha pagato una cena, poi mi ha regalato un libro. mano a mano che si è sciolto il distacco del "collega che impara" siamo stati più vicini. tutto febbraio è stato fatto di episodi, alcuni molto significativi, altri forse solo evidenziati dalla mia maggiore cura, maggiore attenzione. non ho avuto e non ho uno straccio di malinconia, perchè è stata una corsa in cui verso la fine i piedi non facevano più male, l'aria era più tiepida, la gola meno secca. ho ascoltato un sacco di parole che ricorderò, preso giù tanti nomi, ho delle porte già aperte e alcune altre a cui devo bussare. ho grande tranquillità, ogni piccola prova porta in dote una sporta di serenità, di coscienza se vogliamo, e io ho provato ad accorgermi/essere accorto, non giudicando perchè come diceva la FainA, "TU puoi dire solo quello che faresti TU", e fare un giro nelle scarpe degli altri non sempre si può, figuriamoci se poi porti il 45, insomma cautela/insomma cautela. eh, eh beh mi diceva fred e rideva perchè noi italiani riempiamo le frasi di eh eh beh cioè sai com'è cos'è e noi romagnoli, aggiungerei, pure di ciò, a-s-s-o-l-u-t-a-m-e-n-t-e intraducibile. ora la mia lista interna per "malinconia, no grazie" (semicit.) ha preso percentuali bulgare, in me, ma una corrente minoritaria ha opposto resistenza durante l'abbuffet finale, che io vedo gli occhi lucidi e come fosse singhiozzo, mi muove, lo siento, definirei la lucidità oculare altamente contagiosa. sono andato via presto, tenendomi il cappotto chiuso con le mani, salutando con un sorriso e un ciao in italiano. io non so che altro dire, è stato un pacificarsi per alcuni versi, un infervorarsi per altri, sempre a camminare, sempre a testa bassa per mantenere alto il livello di umiltà senza rinunciare all'idea che intorno ci sia tanta tanta luce.
 
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05 febbraio 2008
dunque tempo fa c'è questa ragazza frangettata e italiana che mi dice "si traduceva tutto, o ci si provava. pure il cocktail, hai presente? polibibita! lo si chiamava polibibita! e il bar era il quisibeve." io penso "ma che c'entra? stavamo parlando di automobili a metano. altro che polibibite." i futuristi con la loro cucina fantasmagorica e i loro schizzi mi sono tornati in mente giusto dieci giorni fa, quando la visitante chiara ha fatto la linguaccia al porcello cromato che sta di fronte a museumsquartier. "ma è un cervo!" mi dice. "no, è un porcello cromato con delle stalagmiti simili a rami che gli crescono sulla schiena" dico io, tracotante. cosa avrà voluto comunicare alla plebe lo strapagato scultore non lo so. ma so che i futuristi, alla quarta polibibita, avrebbero apprezzato l'imago di cotanta modernità sfavillante, il porcello, ave maiale scintillante dalle multiformi propaggini, ave. eppure isto porcello non mi fa venire in mente il polibibitum quanto il porcellum, sistema elettorale italiano su cui vorrei solo dire questo: il buon sartori, politologo, negli anni 90 beverlyhillsiani iniziò a coniare i nomi dei sistemi elettorali latinizzando il nome del creatore e.g. mattarellum, tatarellum, il nato/morto vassallum, e... ma invece di chiamarla calderolum, avendola quest'ultimo definito una porcata (cit.), si è ripiegato sulla latinizzazione del termine porco, con un vezzeggiativo di circostanza, quindi porcellum. quando l'ho detta in ufficio, questa storiella rompighiaccio che può solo funzionare con funzionarie (europee, nordiche, stanche della vita), si è scatenata l'ilarità (esclusivamente mia, e interiore). poi ho pianto, perchè mi chiedono della situazione politica imbarazzante che ci troviamo, e ancora lui, ma ha processi a carico, si ma l'hnn asslt (l'hanno assolto, dico io con la bocca ancora mezza piena di té alla menta), e pazienza, porcellum sia, porco cromato aiutaci tu. poi chiara mi ha detto che vienna è piena di spazio, imponente come invece non è bruxelles, e mentre mangiavamo come porcellos polpette di falafel pensavo con la bocca mezza vuota e la testa leggera èvr, èprpr impnnt. in queste strade terribilmente larghe e piene di dossi, rotaie e semafori che la gente rispetta come da noi si può rispettare solo la memoria del nonno, palazzi maestosi si ergono arroganti come i rami della schiena porcelli (genitivo singolare, 2^ declinazione) sotto un cielo che assiste a uno stato di confusione che la metà basta. a carnevale mi sono travestito da persona interessante e sono andato a una festa portoghese/brasiliana. il carnevale è veramente una festa da abolire, non fosse per le polibibite. per il resto ero in cucina e si parlava di cibo (...), io e le colleghe, e ho assistito a questo dialogo "ashili, quando ci fai assaggiare quel riso che ci dicevi?" risposta "il 7, ma io l'ordino soltanto, mica lo cucino!" e tutte giù a ridere. io, visto che il botta e risposta non faceva ridere manco per il cazzo, data l'ilarità generale DEL TUTTO IMMOTIVATA sono scoppiato in un riso isterico e convulso. ashili, che aveva interpretato la mia richiesta d'aiuto (avevo una polpettina tra faringe e laringe, ma più verso la laringe) come un attestato di stima incondizionata, ha sbattuto gli occhi supersonicamente come possono solo le donne, e se ho ben capito attraverso l'alfabeto morse ha detto ciò: *tu si che capisci l'umorismo femminile*. ho fatto una spesa sana con chiara, pure i pomodorini e l'insalata, e in questa circostanza mentre mi trovavo dietro ad un energumeno alla cassa ho notato che la maggior parte degli austriaci fa la spesa come uno studente fuori sede italiano, comprando birra in lattina, formaggio a fette sottili, carta igienica, birra in lattina, prosciutto a fette sottili, fagioli, birra in lattina, biscotti al cioccolato, detersivo per piatti, birra in lattina, caramelle che frizzano, birra in lattina. però quando dico le due parole di tedesco che so sorridono che sembrano girasoli, così fieri, è che poi mi areno e comincio a parlare in inglese e loro si appassiscono. momento più down, quando la vecchina in cerca di calore umano mi comincia a parlare sul tram, e io la guardo e rido, lei ride, poi arriverebbe il momento di dire qualcosa, e io mi metto le cuffie. sono spiacente, vecchina. però ci sono soprese, persone che vedo tutti i giorni e si rivelano tanto, e lo sappiamo tutti che ci si mette un po', ma io mi sento bene, fa niente che a tango c'è la slutty teacher che è più slutty che teacher, e che per la prima metà della lezione io e lena ridiamo e la seconda litighiamo. le giornate sono più luminose, e dopo un inverno lugubre ogni spiraglio sembra un regalo sfacciato tipo il nintendo 8 bit con la pistola nel natale 1991, che costava 270000 lire ed io mi sentii in colpa per quel regalo sovradimensionato per mesi. ero un bambino complicato. come il fischio pirandelliano sveglia belluca, ogni giorno verso le 3 un omino giusto sotto l'agenzia comincia a suonare il flauto dolce, e a parte la solita lagna di titanic che è un po' un must dei flautisti di ogni nazionalità, questo oggi mi ha suonato anche go west dei pet shop boys e dei village people prima ancora, e mi è scappato un *what da fuck* che ela finalmente ha riso, dio salvi la regina. tifo ghana perchè freddie è ghanese, e con un gruppo multicolore seguiamo le partite di coppa d'africa, bevendo birra e parlando del super tuesday, stanotte, god bless america certamente, ma daje obama daje stringiamoci tutti che jela facciamo.
 
posted by bito at 22:56 | 13 comments
13 gennaio 2008
c'è qualcosa nel tango che sa di amaro, dolente, come un nervo scoperto. come una nenia disperata, il tango si impara con la lentezza, e mettere i passi in fila non è difficile quanto questo dover misurare i movimenti. e guardarsi negli occhi? non ti conosco, balliamo. è la contrapposizione di amore e sofferenza che lo rende terribilmente umano, imperfetto, sbilenco e attraente. il tango porta con sé storie di immigrazione, quindi di separazione, di addii che -causa un oceano di mezzo- sarebbero risultati quasi sempre definitivi. ma come si fa, mi chiedo, a partire per non tornare mai più? quando il mondo non era ancora piccolo, ma plurimo, e per tornare alla propria casa di un tempo si dovevano spendere i risparmi di tre vite. forse, semplicemente, non c'era spazio per le domande, ciò che occorreva urgentemente erano i panini al crudo. e poi quel viaggio in nave. a me sembrano lunghe quelle poche ore e non so pensare alle settimane, con l'italia e la spagna negli occhi e la speranza di trovare terra da lavorare e pane da divorare. roba che un cuore solo non basta. non c'è solo questo, chiaramente. è anche un incontro dannatamente fisico tra persone, fatto di tensione, fatica e sudore. ed anche questo è come un viaggio condiviso, perchè insieme si fanno scivolare i passi. un viaggio accompagnato da una musica che scalda, che ogni tanto ci si ferma perchè nelle orecchie non ci sta più.
sulla ferrovia in questi mesi ho incontrato tante persone che viaggiavano. ho *sempre* conosciuto qualcuno, nonostante la stanchezza che era inevitabile retaggio della "sera prima", nonostante l'attesa o la delusione o ancora quella malinconia che per me pervade qualunque viaggio porti *un po' lontano*. e anche qui come nel tango sono mani che si stringono, scrutarsi, per poi fare un passo avanti, anche se nel ballo il primo è indietro. sono sguardi e mozziconi di parole, mani nei capelli, imbarazzo se il posto è poco e bisogna stare stretti. ogni tanto i passi sono sgraziati e ci si pesta pure i piedi.
gli scompartimenti sono mondi in cui si entra in pochi per volta. microcosmi che durano finchè non c'è da scendere. non sai mai dove mettere la testa.
apriamo una parentesi descrittiva. c'è stato l'attore di fiction austriaco, un biondo occhialuto con la passione per l'italiano causa morosa di bologna, impegnato ad elencarmi celebrità austriache. io conoscevo solo sfarzenegher (scritto così) e haider, che in questi mesi si è pure rivelato pederasta.
c'è stata anna, che lavora sotto vienna e parla 4 lingue. capelli raccolti e occhiali di chi sa il fatto proprio, una borsa arrogante, una voce confondente, una parlantina stordente, una silhouette divertente. rivelatasi gran russatrice, predilige il cappuccino del treno a quello dei bar di vienna. io non arriverei a tanto, anna.
c'è stata vale (forse valeria, forse valentina, forse valejddsdfndkjnrk) studente fuori sede e fuori tempo massimo, i cui argomenti mi hanno aperto porte della percezione che neppure i doors. i magazine per donne, l'astrologia, il cucito, la vera storia di laura palmer, l'importanza della carriera *ma preservando la femminilità*, il rossetto rosso fuoco.
c'è stato alberto, omonimo argentino dell'insegnante di tango (che è invece peruviano). come l'alberto peruviano, anche questo possedeva una pancia comodamente accomodata sopra la cintura, un accento clamoroso, una vita da emigrato, la barba di due giorni, un passato da ex comunista, i capelli da ex chitarrista (cit.). amore per le città di mare, ricordi e nostalgia canaglia.
c'è stata la mia collega d'università daniela, che per caso ho incontrato sul binario a venezia e mi ha guardato insicura sul "seitu,tunonsei" prima che io sbottassi in un fragoroso *mamma mia*. con lei ore nel vagone ristorante, litri di caffè sapore freno e frizione. zuppa di gulash, poi la neve ad accoglierci nella stazione sudbanhof.
c'è stato emanuele, conosciuto a una festa qua a vienna, e rivisto la sera dopo ad una festa, sempre a vienna. coincidenza pure qua. con lui abbiamo affrontato e sviscerato il delicato argomento *la vita grama di un gatto che non ha più i testicoli*.
ci sono stati i gemelli fottutamente inquietanti. 4 bambini *sputati*, un raro caso di omozigotismo (forse) a mio parere sfacciato, che dall'occhio azzurro e dal colore ceruleo sussurravano una cosa: hollywood. al cinema abbiamo visto decisamente troppi bambini inquietanti. per la loro capacità di sparire e ricomparire dalla parte opposta del vagone, ho anche considerato l'ipotesi che potessero essere fantasmi, e il tutto era fottutamente soprannaturale (cit.).
c'è stata michela, che è addirittura di faenza. la mia incredulità qui si è fatta ingombrante.
e ancora quel fuoco, lo ricordiamo? c'entra niente il treno. cosa diamine ci faceva elyse di adelaide nel deserto marocchino? i rotoloni? chiudiamo la parentesi descrittiva.
poi quella chiamata. e "quanto più profonde sono le radici, tanto più crescono i rami". e se i rami si spezzano, sono **zz*. le radici stanno lì, mentre le settimane scorrono -per usare la dialettica covizziana- galoppanti, fragili, veloci. ascoltavo il solito dylan e fuori pioveva. le parole erano scandite con la voce che tremava, ed erano forti come se le avesse dette mio padre.
 
posted by bito at 21:18 | 6 comments
05 gennaio 2008
da un sms alterato giunto mentre ci si trovava nel deserto, giunge pure il nome di questa clip. avrei potuto scrivere del tassista che chiama un altro taxi e poi si ferma a chiedere informazioni per portarci negli anfratti della marraca, dei touareg scrocconi, di chuck e delle sue mutande lasciate in macchina, delle ottime, di freddie e titti, del ritratto del re sputato a vittorio de sica in pane amore & fantasia, del tajin (sic), caffè neri in bicchieri di vetro, motobecane, contrattazioni per le schede telefoniche, gente che ci rincorre, tabacco alla mela, spiedini, cieli desertici, tende bucate, lavandini abusati, porte basse, sole. ma facciamo a voce.

 
posted by bito at 11:42 | 10 comments
15 dicembre 2007
n.b. nomi drammaticamente falsi.

la brillante idea di jaopedru di organizzare una cenetta tra amici a casa nostra si è rivelata una stronzata. diversi fattori hanno permesso una simile tragedia-cenacola. innanzi tutto le motivazioni: jaopedru aveva addocchiato lisa, una ragazza milanese con la passione per la letteratura tedesca che gli avevo presentato una domenica pomeriggio, e aveva provato a darci dentro. ora, lisa, carina e colta, era stata gentile con lui: ma la snai dava l'evento *nongieladaràmai* a 1.001 sin dal principio, senza neppure aspettare la diramazione della lista convocati per la cena. la scena. jaopedru mi parla sputacchiando, e sbotta così: *ahio màtteu, porche non si urganiza na scena, tra amisci. martedì, va bueno?*. io sorrido, e penso diverse cose. la prima è che devo studiare per il concorso, e posso farlo solo la sera. jaopedru lo sa. la seconda è che organizzare una (s)cena prevede il comprare roba, il preparare, il pulire. la terza è che jaopedru non sa cucinare neanche una scatola di tonno da scatolettare. la quarta è che c'ho delle complicazioni sentimentali in atto. la quinta è che lisa fa jaopedrunon-teladaròmai di cognome, e non perchè ha origini basche. la cena se ne esce fuori nel modo seguente. lisa e la sua amica buona come il pane non si presentano adducendo motivazioni che spaziano dall'amor fati all'esplosione dell'iperuranio. viene john l'australiano, ber l'olandese, lena e un'altra mia amica volutamente anonima. jaopedru è in gran spolvero ma si muove nelle conversazioni con acredine. la pasta viene al dente. lui ha comprato il formaggio sbagliato e questo si scioglie nel forno generando un forno formaggio malo. da quest'ultimo mi aspetto, da un giorno all'altro, che esca una mano formaggia a porre fine alla mia vita. i dolci tipicamente austriaci preparati da lena, delle palle di pasta con interno di prugna, si gonfiano in maniera esasperata, e al momento di alzare il coperchio della pentola occupano tutta la stanza con la loro presenza prugnosa, roba da acchiappafantasmi. il vino fa cagare. su tutta la serata, un alone di zoppicanteria che non viene squarciato dalla mia scelta di mettere su let it snow! let it snow! let it snow! di bing crosby. dannato bing.

capitolo due, il fenomeno. in ufficio c'è un fenomeno, ma in un'altra unità. si chiama aujuja. nel mio muovermi tra i piani per produrre produrre produrre però, mi sono imbattuto diverse volte in lui.
tre perle tre.

aujuja: "questa lettera e' scritta molto bene. bravo."
irplan: "guardi che questa lettara l'ha scritta lei, non io."


aujuja: "sei un bravo lawyer, bravo."
irplan: "guardi che non ho studiato legge."


aujuja: "controlla questo paper che ho trovato, ti potrà fornire spunti interessanti."
irplan: "guardi che gliel'ho inviato io."


cena dell'unità, in attesa della cena dell'agenzia globale. casa di un collega. togliersi le scarpe all'ingresso. situazione calma fino agli effetti del vino rosso. arriva il capoccia. tutti bisbigliano e cominciano a impostarsi un po' meglio. lui comincia a bere. tutti fanno lo stesso. capoc mi guarda e mi fa "capello alla guida della nazionale inglese. argomentare". io deglutisco. finisco il vino e argomento. lui mi guarda. io lo guardo. deglutisco. poi prendo l'amaro averna, mio contributo alla cena, e dico "averna anyone?". e tutti si gasano: "averny!". no, averna. avercene.

sono sempre in procinto di interrogare le sfere urbane del sentimento, ma perlomeno le sfere non me le rompo. ho voglia di dormire. ieri il concorso dovrebbe essere andato bene, aspetto fiducioso. ci vuole pazienza. nevica. un pazzo nel michoacan fa fuori i musicisti dopo le esibizioni, tipo serial killer dei musicisti. ho sentito di gente tanto incapace a suonare da abbatterla, ma pensavo fosse un modo di dire. credo di sapere chi possa essere il prossimo gruppo-vittima: i cosmo-proletari.

qua è natale da talmente tanto che ormai è martedì grasso.
concluderei con questo dialogo vero pèddavéro tra me e faccia dubbiosa, che perpetua la credenza (del tutto verificata) che il mio compleanno sia una data irricordabile.

faccia dubbiosa: "ma quand'è il tuo compleanno, è il 19 o il 21, mi sbaglio sempre..."
bitazza: "è il 18."
faccia dubbiosa: "ecco perchè mi sbaglio sempre."

 
posted by bito at 17:25 | 10 comments
03 dicembre 2007
Come una poesia di boris pasternak tutto iniziò, *di palle di neve solo, umide, bianche, il rapido balenio tracciante. soltanto tetti e neve e tranne i tetti e la neve, nessuno* (cit.), nella gelidità della nuova russia. In realtà trattavasi di una battaglia campale di neve, robe da prendere una carriola, infilarcisi dentro e farsi spingere à toute bride giù per una discesa, urlando *a gogò, a gogò!* prima di schiantarsi gaudioso. Palle di neve di quella che è quasi ghiaccio, due schieramenti mal rispettati, un'attitudine iconoclasta e un continuo voltagabbana volto a spiaccicare neve addosso all'essere umano più vicino, meglio donna, fosse anche nà signùra impellicciata, te pijasse l'ENPA. Si fece amicizia così giocando, un gruppo di persone di genere misto, nazionalità mista, sangue misto nel tripudio della mistitudine. I weekend appena passati come questo che sto or ora accompagnando verso la mezzanotte mi hanno regalato il tipico bagaglio da studente erasmoos (sic), pur non essendo nè studente nè tantomeno erasmoos (no davvero. una giapponese l'ha scritto così su un pezzo di carta e me l'ha dato, sorridendo), tante facce, tante foto, ma tanto chi ti rivede più, ahr ahr, buona vita. Prendiamo il buono, come sempre. Durante certe serate in casa di sconosciuti sembra di trovarsi al mercato del pesce. Io attraverso la festa con un calice di vino, vedo un luccio e cambio obiettivo, caspita che due branchie, tutte le carpe a bere mischioni tipo succodimela/vodkadaduelire, oppure il gettonatissimo ananasso/gin, saluto, incontro pure tanti italiani. "Ferme ta gueule", ha detto una francese a un me contrariato. Ma era simpatica, occhi grandi. Un coup de foudre? mi sono chiesto io. Lo è stato a metà. Diciamo al 33%. E mentre guardo con sguardo vacuo la pila di piatti che lionel ha lasciato nel lavabo, penso: les femmes sont l'autre moitié du ciel? Poi, come stamattina, mi sveglio alle 7.30, non sono più buono di addormentarmi, bevo mezzo litro di latte, metto su i byrds e guardo il sole entrare e illuminare l'orologio. Sto bene, come ho detto a qualcuno di voi. Tout va très bien, Madame la Marquise.
L'appartenere all'unità comunicazione dell'agenzia mi spinge al networking selvaggio, fosse anche una serata in un club. Quando il flyer arriva attraverso l'éminence grise dell'ufficio non si può rinunciare, e dunque mi capita di applaudire simil-serio ma facéto dentro un gruppo chiamato *i cosmoproletari*: tappeto di batteria elettronica, basso arrembante, testi sragionanti, dj nepalese, voce flashata come una tuta degli anni 80 ma fuori luogo come una tuta degli anni 80 nel 2007. Cosmoproletari, ma andatevi a far proletariare la **** (semicit.). Nell'ilarità generale, ho pure rovesciato addosso ad un collega indoportoghese che festeggiava il compleanno una birra scura, era la prima e lo dico subito a scanso di equivoci. Lios l'ha presa con filosofia, e dico grazie che la filosofia non era quella empedocliana dell'elemento-odio. Il lavoro offre spunti sociali interessanti, ora cucino anche un pochetto in pausa pranzo, ho preparato dei tortellini pessimi mentre tomas mi raccontava di come una volta sulle montagne austriache una pecora di un gregge si fosse staccata dal gregge per seguirlo e ad un tratto rovesciarsi a pancia in su, "aspettandosi" -sono le parole di tomas- "di essere rasata" (cit.). Mah. Io cucinavo, e mi immaginavo una pecora ribaltata e vagamente inquisitoria. Poi lena l'altra sera, nella piazza davanti all'ambasciata francese vuota come la bottiglia di valpolicella, ha stuzzicato un maiale selvatico che insieme ad alcune capre stava in un recinto, fosse un'esibizione per i bambini o che altro non so, e questo gli ha grugnito in faccia. Lei si è spaventata perchè sembrava dormisse, diavolo di un cochon selvatico piazzato recintato e grugnente. Ho letto sul giornale online austriaco che una vacca la scorsa settimana ha fatto fuori un poveretto. Tra vacche assassine e il resto, io mi interrogo sul mondo degli animali.
Ela, la mia supervisor algida, è sorridente. Compra cioccolato, dialoghiamo. Poi studio, per una competition dell'UE che sarà venerdì 14. Aspetto visite. Tutto chiude presto, alle 7, *per proteggere i lavoratori* come dice la legge. Poi nei baraccotti che vendono vin-brulè, i lavoratori si adoperano a -3 gradi celsius fino alle due. I cosmoproletari dovrebbero abbracciare la loro causa, eccheccazzo. Non è roba per me: mica posso sempre solidarizzare, come con gli amici ferrovieri. E poi a me il vin brulè fa *a*a*e, que sera sera, e beeheeh.
 
posted by bito at 00:16 | 8 comments
23 novembre 2007
Montaigne scriveva che il processo del dimenticare, dopo aver annotato per trattenere, in realtà è funzionale alla fruizione. Questo ci dovrebbe confortare. Partiamo dal nostro cervello: limitato, direi quasi limitante. Il mio, già di dimensioni compatte, fa quel che può. Strabuzza gli occhi, si indigna, si inceppa, si surriscalda in maniera pericolosa dalle parti della nuca, quando colpito da senso di disagio gli addosso tutte le mie inquietudini. Ce ne vorrebbero due, tre, ma che dire dunque del cuore? Aveva ragione ligabove quando sbraitava che i duri hanno due cuori? Ma... eh? Ripartiamo. Come possiamo ricordare tutto? Ma ancora a monte: quanta cultura, attimi, attitudini, emozioni, libri, trentatreggiri, esperienze politiche, discussioni, tipe, tipi di caffè, suoni di voce, malegratudini, ci sono, o o o? Dunque ci si tuffa. Un po' di qua, un po' di là, come un cieco durante un orgia, ci si fa strada palpando (cit.). Ma quanto diventa dunque più importante, per questo motivo, interpretare? Avere uno sguardo che vede da un metro indietro, che ci prova perlomeno, e dice tu sei lì, stai facendo le tue cose, io sono qui dietro alle tue spalle, non ti curare di me, io guardo. Ma io pensavo, l'altra notte, al mio fare e al mio muovermi di questi giorni, a carponi e a piccoli bocconi, tantando di seguire un percorso ondulante il giusto che mi permettesse di gustare, ma allo stesso tempo di anda-a-a-re. Riguardo all'interpretare, mi rendo conto che non c'è tempo. Mai. Io mi appoggio al letto e crollo, tragicamente, il letto IKEA eroicamente mi sorregge, il venerdì sera arriva e mi si dice andiamo a *nome-a-caso*, ma io c'ho sonno, voglio dormire! Ma se non dormo, e allora penso, maledicendo di pensare e non dormire, questo penso: c'ha il mio rispetto Yury Afanasyev, storico russo di area liberale, quando dice che "il tipo di paese che diventerà la Russia dipenderà dal tipo di storia che sceglierà". Io gli do un cinque alto, al russo, e allungo il passo. Non è così anche per noi, per le nostre cosucce, queste vite fatte di tessere di puzzle che messe insieme non dicono un freakin'-cavolo, però ci spostano verso una deriva astratta e astrale? Ciò che siamo oggi, non dipende forse esclusivamente dalla storia che scegliamo per noi stessi, dall'interpretazione che diamo del susseguirsi dei nostri eventi personali, dalla linea rossa arcadefireiana che riusciamo a tracciare? Due vite coincidenti, due gemelli ugualovisutti, non possono cambiare radicalmente la propria stessa vita, a seconda del significato che le danno? Ma cazzo, si, certo che possono! E ora io rifletto. Lungi dall'eugenetica, e pure da eugenio. Nel vivere e nel non avere tempo di pensare io ci vedo molto di fascinoso e pure-un-po'-necessario, e molto di inutile e dannoso. La verità? Le domande le faccio io, silenzio. Io scelgo il passo indietro, e scelgo di interpretare. Lo giudico necessario. Il freddo dà delle scosse che la metà bastano. Le piccolecose di questi giorni sono dunque: discussioni piacevoli e non, libri a malapena sfogliati nel negozio inglese, serate sbilenche, posti brutti, belle scoperte, nuove amicizie, ragazze francesi con argomenti convincenti, tavoli australianolandesitaliaustrumeni davanti a partite con perfidi scozzesi, attimi di panico, scuole di tango, il mio negozio di dischi preferito, tanti passi, buste chiuse e spedite in quantità massiccia, racconti ghanesi su storie namibiane, e tanto tanto altro. Potrei romanzarci sopra, ma non oggi, non ora, *fa* tardi e io come tradizione *fa* che mi vado a letto. La lavatrice centrifuga, nel mentre. E dunque affermo e richiedo. Ditemi di cosa sono fatte queste settimane. Per voi. Per l'interpretazione, ci pensiamo. Tutti i mezzi sono leciti: telefono, teledrin, compiuuuter, essemmès (cit.), fax, fox, pintori, visite a domicilio, soprese nei bagni, ma aggiungerei anche piccioni viaggiatori, sempre che non mi caghino sulla finestra che come tutti sappiamo -diciamolo insieme- dà sul tetto. Esatto. Ciao, patagaji.
 
posted by bito at 00:25 | 9 comments
16 novembre 2007
dormire non è mai una buona idea, e allora stasera mi è venuto in mente di fare una clip (cit.) mettendo insieme filmatini residenti su macchina fotografica e cellulare, nonché mente cuore e papille gustative. la prima della mia vita, ma direi anche l'ultima. personaggi non etichettabili nel filmato sono in ordine di comparsa: alcuni nairobesi, dylan, sue, pita, veronika che dorme, ballerine di varie-età, un vez, un bambino dispettoso, fiabeschi, un pupazzo di neve, dei ballerini asiatici, la testa rossa di lena, un maiale cromato. più i cavalli veri e presunti, una finestra e la neve. ed ora bbonanotte.


 
posted by bito at 01:17 | 21 comments
08 novembre 2007
Tira un vento gelido, a momenti poco fa finivo sotto una macchina, spinto dalla forza della forza della natura, che forza. Forze dovrei indossare scarpe alte tipo *quei polacchini che avevi tempo fa* (cit.), quelli col *carrarmato* (cit.), e non *delle scarpe di tela, pure in inverno, che sembri povero* (cit.). Mia madre da faventia mi ha detto che sto vento gelido viene dalle pianure dell'est, e io le immagino proprio così, le pianure dell'est, piatte, essendo pianure, e attraversate da venti fortissimi e pungenti che portano le ragazze del luogo a consumare calorie per mantenere il calore corporeo. Brucia che ti brucia, il sedere rimane necessariamente sodo. Teoria sentita qualche tempo fa a quark. Lo diceva piero.
Sono tornato a casa, ho mangiato, salutato tutti, mi sono commosso, ho mangiato, bevuto pure, ahr ahr divertito, ho mangiato, ho visto tutto ciò che dovevo vedere, fatto contenti tutti, spero, mi sono detto *ma perchè?* poi ho mangiato. Ancora. Che fame che mi aveva lasciato addosso vienna. Ma adesso non mi frega più. Ho scelto di non avere vizi, neanche il cibo, l'altro giorno vi giuro li ho visti -FINALMENTE!- un gruppo di hare krishna, in quattro per lerchenfelderstrasse, con una chitarrina e i capelli rasati, mi volevo unire a loro, rinuncio a tutto! Mi raso completamente. I capelli. Storia vera, prima sono andato a prenotare un taglio di capelli, la shampooista ha preso la mia prenotazione, vado a fare lo spelling del nome e mi scrive *batol*, le dico vabè scrivi jack. Jack venerdì si taglia i capelli, ha scelto un profilo alla tedesca, molto impomatati, scalati e riga da una parte. Se no lunghi fino al culo. Uno dei due. Ora, il mio ritorno mi ha lasciato alcune cose. Alcune sono concrete, tipo la moka, che dovrò portare in ufficio, tutti berranno di quel nettare e piangeranno come me quando ho visto gli hare krishna, *non avevamo bevuto ancora un vero caffè in tutta la nostra vita*, mugoleranno, i poveri. Deterrò il potere in agenzia, tenendo salde le redini della moka, con la presina se no scotta. Altre cose, ce ne sono. Tanti incontri, se ci penso tanti sul serio, e tanti posti, anche se la forza centripeta porta sempre -in un arco di tempo compreso tra le 19.30 e le 4- al clandestino. Coi soldi spesi lì in sti anni ce lo compravamo. Diamine averci pensato prima. Molto interesse in ciò che vedo. Sui treni ho incontrato tre persone che mi hanno fatto aprire la bocca parlando fino a che non è rimasta aperta perchè mi ero addormentato e io dormo con la bocca aperta. Un attore di fiction austriaco, uno studente erasmus residente a bologna, e una mia ex compagna di corso durante gli anni forlivesi e residente attualmente -pensate un po'?- a vienna, galeotto fu il progetto leonardo. Protagonista di un'amore fatale per la città in cui attualmente risiedo pure io, dopo poco a sentirla parlare non vedevo l'ora di tornare in austronia. Venite tutti a vienna! Nerds, nemici, amici degli animali, buone forchette, impiegati, donne innamorate, punks del 1977 rifugiatisi in una zattera sul tamigi, fasci, comunisti ricchi e coi rasta, pacifisti, parenti dei VIPS, nani, autisti in preda alla sobrietà, tossicomani, stripper, evasori, evasi, DJ di webradio, VJ di allmusic, cantautori, cantautori impegnati ma falliti, metallari pure oltre i 20 anni, gatti, etero, diversamente etero, cristiani convertiti, cristiani malgiogli, matti osceni, sindaci di Milano, pintori di fontane, condannati dalla vita, sconfitti, animali super pelosi, medici, paramedici, paraculo, io-non-ragiono-in-questi-termini, storti, marescialli, marshallisti, spiriti liberi, gibsoniani, naif, tonni in scatola, figli della rivoluzione, figli dei fiori, figli di puttana, padri, padri padroni, ragazzi padri, freaks, minorati mentali per scelta, maggiorate. Gli altri, venite lo stesso.
Le parole. Alcune tristi, altre non dette e lo stesso squallide. Piccole grandi o presunte intelligenti, si prova a descrivere situazioni che... due occhi puntati sopra per qualche minuto, e poi basta. Non importa. Vivo uno stato d'animo simile al secondo fiato di sudafricana memoria, torello revisited direbbe bob perrotta. Per la mia tendenza, nell'entusiasmo, a dire sempre di si, l'altro giorno sono finito dopo una giornata pesantiiiissiiiima di lavoro a una conferenza/workshop incentrato sulla diversità, in cui lena e tomas, un collega editore, mi hanno trascinato. Ho visto nell'ordine (decrescente per importanza): una ragazza che faceva della bellezza una violenza per gli occhi, che bruciavano alla vista di cotanta bontà, e distribuiva opuscoli sui centri di ascolto. A me, in italiano, non mi ascolta nessuno. Passiamo oltre. Un balletto di una scuola nonsochè in cui erano tutte giapponesi, e tutte sui 16. Un balletto di quelli che vanno di moda adesso, con tutte quelle shakerateche che vanno su mtv e al terzo *yo* mi sono già rotto le palle, roba che se c'era un pervertito filo-nipponico tra il pubblico rischiava di implodere. Ultimo, ma non in ordine di importanza o forse invece si, una conferenza sul linguaggio dei segni usato dai sordomuti, spiegata in tedesco con delle ottime slides. In tedesco. Dopo aver guardato 20 minuti mi sono detto *eh, però* e sono andato a fare la spesa. Ho salutato con la mano, mi hanno risposto. Ho però capito, c'era una slide che lo spiegava, che il linguaggio delle lettere fatte con le mani appreso al ritiro spirituale del catechismo a pracchia per parlare con andrea g. durante la notte è completamente obsoleto. Leverò questa mia conoscenza dal curriculum vitae, se no rischio di fare la figura del coglione.

Vado in ufficio presto, sulle otteunquarto ottemmezza, in agenzia non c'è un cane. Mi sistemo, guardo due tre websites, saluto chi arriva, ciondolo tra la cucina e il mio ufficio, preparo il caffè con quella macchina esoterica che ha tutto automatico, tranne il sapere fare il caffè. Piano compaiono tutti, quattro chiacchiere, c'è chi dice due parole c'è chi no, ci sono i giorni in cui anche io no. A conoscere meglio i colleghi vedi chi stringe tra le mani il brando della formalità, chi sembrava molto peggio all'inizio, chi è solo timido. Chi è crasso, chi è basso. Chi si veste bene, chi sempre in camicia, chi vuole fare carriera, chi *la mia carriera è la vita*, chi guarda i giovani e dice "idealisti!", chi con gonne aggressive (da leggere *aggrèssiv*). Chi gli anni 80, eh bel periodo. Chi ha i pantaloni a vita alta, l'ombelico sta esattamente sotto il bottone, c'è un legame con la bassa germania? Poi si attacca col lavoro, in sto periodo sto scrivendo tra l'altro i discorsi di apertura di due partecipanti alla conferenza di shtoc-coh-lmha, scritto così, non faccio nomi ma sono l'eminenza grigia di due interventi, ahr, ci metto un daje pirlo, gol di zambrotta, lì in mezzo al discorso che nessuno se ne accorge, e tutto il pubblico si chiederà *ma che cazzo?* e io riderò sotto i baffi che mi sarò tagliato, un po' di sbarbità per la formalità. Poi scrivo i reportS, spedisco le e-mailS, leggo i paperS, faccio le phone callS, metto giù le minuteS, mi dedico alle discussionS. Ogni tanto è pesa, ma mi piace. Tanto. Ecco. Pausa all'una, si va a mangiare con le altrE tirocinanti. A proposito ne hanno aggiunte altre due, chiamate in mega ritardo dopo un mese, oltre alla russa arrivata a metà ottobre. Si tratta, in questo caso, di una danese e di una italofrancese. Il parco tirocinanti sembra sempre più un parco giochi, ma che è un reality (cit.), hanno deciso di provare l'esperimento sociologico. Protagonista inconsapevole di un film chiamato *amico delle donne*, sono pure finito a ballare salsa. E' ora di dire basta. L'altro giorno ero giù, davanti all'agenzia, con 4 di loro. Passa uno dei capoccia. *Good morning ladies. .... .... Matèo*. Ho taciuto, dispiaciuto. Dopo il lavoro non c'è tempo di fare un cazzo. Sono le 6 e tutto a vienna chiude verso le 6, a seconda dell'umore, poco amore. I supermercati alle 7, grazie billa. Allora si dice che mangiare in fondo non è... insomma, sano: si prova a estrapolare l'energia direttamente dalla birra. Dopo poco ci si accorge che non funziona. Si ciondola un altro poco, parlando poco e ridendo molto, spendendo... molto. Poi è improvvisamente tardi, e danila la rumena l'altro giorno ha asserito seria che come diceva il sommo shakespeare *siamo fatti della stessa sostanza di cui sono composti i sogni, e la nostra breve vita è circondata dal sonno*. Io sbadiglio, mi faccio sogno, e mi dedico all'arte del dormire. Con profitto.
 
posted by bito at 00:36 | 17 comments
25 ottobre 2007
La pioggia ha preso a ticchettare da qualche giorno. Dalle ottime finestre tettare della mia camera vedo il colore del cielo, sempre più griggio ogni mattina; daje di luce artificiale già a colazione, se no non si vede un cazzo. Casa mia è su un viale, una lunga fila di alberi che arriva fino in centro garantendo ossigeno purissimo e, in caso di acqua, grosse gocciolone direttamente tra collo e maglione; gli edifici del mio quartiere sono stati costruiti prevalentemente prima dell'infausterrimo Anschluss e alcuni cadono a pezzi, ma hanno uno stile che i mostri architettonici degli anni sessanta possono solo bramare. Le scale che faccio col fiatone tutte le mattine sono piuttosto trash metal, e mi chiedo chi caspita cucini kebab atroci pure al mattino, ma la casa mi piace. E' su due piani con ottima scala a chiocciola in dotazione, la mia camera è una mansarda e pure il bagno è onesto. Non come gli appartamenti bolognesi di via zannoni: per uno il cesso era il punto debole della casa e per l'altro il cesso era, non esagero, lo SPECCHIO della casa (cit.). In una piazzetta vicino a casa stanno costruendo un playground per i ragazzi del quartiere; tutte le sere, venisse giù il lago titicaca, ci sono dieci (o comunque un numero pari, suvvia) ragazzini non propriamente ariani che giocano duro a pallone col sogno di poter essere naturalizzati, tempo qualche anno, e regalare successi alla gloriosa compagine calcistica austriaca. Sabato sono andato all'IKEA con lena perchè volevo un letto, il soppalco come direbbe la sue mi aveva avuto, e se poi un domani appurassi di essere sonnambulo? Lo voglio scoprire con una frattura all'osso coggigeo tipo la tipa sbattuta sul tavolo dal moroso che... vabè, storia vecchia. Ma certo che non voglio, che diamine! Ho comprato pure delle palle luminose, le ha comprate pure lena, che qua è natale già da prima di halloween. Lascerò una luce ad attenderti, diceva il buon pacifico. Nel mio caso lascerò delle palle ad attenderti, ma suona male. Ho costruito il letto in due ore, imprecando con moderazione e conservando un ottimo umore, ascoltando note distorte perchè il portatile distorGe e chiedendo una mano a Ray Charles. Poi mi sono reso conto che era non vedente e allora ho messo su quei tamarri dei Def Leppard. Poi mi sono ricordato che il batterista... Ho spento la musica, faccio da solo. Ho provato a fare la spesa al billa e al penny, ma non c'hanno un cazzo, austria svegliaaaaaaa. Non posso andare avanti a margarina, come in sud africa. Non posso andare avanti a insalate e olive e diventare obeso, come a bologna. Dovendo scegliere e studiare le mie mosse, sono all'impasse. Per uscire dal labirinto concettual-alimentare mi guardo indietro. I miei, nei primi anni novanta, forse ancora annebbiati dagli anni ottanta, compravano Gente; io, e non vi stupirò, me lo leggevo! Rosanna Lambertucci scriveva su Gente. Dunque, dove sta la questione? Ero un avido lettore delle rubriche di Rosanna. Le leggevo in cucina, ovviamente, ma anche prima di dormire oppure in bagno mentre mi facevo la barba, aspettando lo scuolabus, allo skate park, nella spiaggia di brisighella, nell'ascensore di casa mia e insieme al mio cane Argo. Rosanna diceva sempre "per dimagrire bisogna mangiare poco, lardosi" e "mangiare male vi fa inciccionare, palloni!". Io ho perciò deciso, coniunctis viribus, di mangiare poco MA male. Ciò mi dovrebbe garantire, se ho ben recepito gli insegnamenti di Rosanna, di evitare la pinguedine e lo smungimento mantenendo il peso forma.
Vienna non sorprende e si rivela piuttosto gelida. I rapporti umani ne risentono, ed io mi chiedo ma nord e incazzo sono direttamente proporzionali? Forse in Islanda si giunge al parossismo, che se ti dico ciao tu sbotti in un "vaffanculo!" diretto. Tracciamo un grafico. Ah che sorpresa, l'austria, pur essendo moderatamente a sud, ha una quantità di incazzo del tutto superiore alle previsioni. Me lo diceva, sandro. Tenetevi il nobel. Gli austriaci, i pochi con cui ho avuto modo di parlare perchè in agenzia ce ne sono tipo due, c'hanno una sorta di distacco diffidente. Oh, benessere a palate. Ricchi si, ma vita poca. Come dice joao, qua le ragazze non si abbracciano, si danno la mano. Si rompono tutti le palle! Ma forse aveva ragione l'internazionale situazionista quando rimarcava che la garanzia che non moriremo di fame è stata comperata con la certezza che moriremo di noia (cit.), e bauhaus, bauhaus. Intendiamoci Debord, te che nella foto guardi in basso. C'è vita nell'universo e c'è vita pure a vienna, bauhaus, ma nessuna rivoluzione o avanguardia, un po' dormiente nell'approccio, ecco. Nidi notturni a bizzeffe, invece, tutti a rintanarsi. La viennale, i ristoranti, mostre e rappresentative, locali più o meno fumosi, che qua si può sigarettare dappertutto. L'altra sera ero in un locale sovraffollato e non si sentiva una ceppa, seduti al banco noi, e un tipo sui cinquanta si intrufola nella discussione ma io non capisco un cazzo perchè parla in tedesco, beve l'ottavo gin tonic, così a occhio, ne strizza uno ma gli si chiude anche l'altro, fatti un sonno e ripijate amico mio, ma lui no, si trangugia un toast sbavando maionese, poi tossisce come un animale tre volte addosso a lena, accompagnando il tutto con l'affermazione "si vede che qualcuno mi pensa". Si io penso che te ne devi andare affanculo, nè? Sparisci! E in una nuvola di zolfo, si è dissolto. N'altra sera invece siamo usciti in 5, c'era pure joao a rappresentare insieme a me il sesso maschile, e siamo finiti in sto posto mega-tirato con tipe sempre alte e moderatamente alticce. Guardavo il menù, la cosa che costava meno era il caffè, 5 euro, ma vuoi fare la figura del pezzente? Ma falla, direte voi. Poi è arrivato il supervisor di alicia, la collega polacca, ed è scattata la bazza. Sui 40, di colore, accento francese ma residenza in trentino alto adige (chè?), grazie a lui e alla sua conoscenza della proprietaria abbiamo drincato senza ritegno alcuno, viva il nepotismo, pollice alto per il patrimonialismo e abbasso la democrazia, basta ipocrisia, se si parla di bere la vicinanza al potere è altissimamente auspicabile, non logora affatto ma rende sbronzi. Che poi bisogna scaldarsi in qualche modo. L'altro giorno abbiamo organizzato una serata per julia, una collega nigeriano-tedesca, che si compra come regalo, vabbuò alicia andiamo io e te a cercarlo. Parliamo del più o del meno sulla strada principale di vienna, poi vedo che le prende la smania e si catapulta su un negozio di bigiotteria molto kitch, incomincia a toccare tutto, si entusiasma, e insomma le polacche sono come i pesci, attratte da cose luccicose. Lei è MOLTO polacca, ma tutti i miei colleghi sono molto inglesi o tedeschi o olandesi, ceki o greci, come io sono molto italiano e non mancano di farmelo notare, mannaggia a loro, ahr ahr. Insomma c'è luce, anche se non è luce solare, sprazzi di umanità, identità e voglia di incontrarsi. Certo ci sono posti in cui questa è più visibile, ma vienna compensa con una dannata serietà e concretezza nel fare. E' il solito discorso di come vedi le cose: quando mi sono trovato davanti una donna con le tette di dimensioni diverse, invece che concentrarmi sulla coppa del reggiseno mezzo vuota, mi sono sempre concentrato su quella mezza piena.
Ero su una panchina ad aspettare il tram, poco fa. Un velo d'acqua cadeva sui miei capelli idrorepellenti, pungeva le guance, e ho sentito un coro di musica gospel, diceva più o meno
*we've all been changed
from what we were

our broken parts

smashed off the floor*
ho guardato il cielo e c'erano dei nuvoloni neri. Poi ho guardato meglio e ho visto uomini donne e bambini con lunghe tuniche arancioni e candele, che cantavano tenendosi per mano. O erano gli editors? La sostituzione della vita con lo spettacolo, direbbe Debord. Bauhaus, bauhaus? Bau.
 
posted by bito at 20:55 | 11 comments
17 ottobre 2007
Anche il concetto di profondità intellettuale è sopravvalutato. Questa foto ce lo SUSSURRA chiaro e tondo, è inutile rincorrere messaggi all'interno di immagini che non comunicano se non nella testa di chi le guarda. Scelgo la banalità e opto per un carattere stampatello, un bel punto esclamativo ed un concetto da spleen ufficiaro pomeridiano: MARONI! Lo spunto me lo dà la Coca Cola, che qua a Vienna sponsorizza pure i baraccotti di castagne, addobbandoli con cartelli rossi e gioiosi più chiari di mille meta-seghe. I miei ultimi giorni vissuti in ostello mi hanno fornito opportunità interessanti -dal punto di vista sociologico- perchè stanco del basso profilo istituzionale mi sono detto: cui prodest? In fondo cuiusvis hominis est errare, nullius nisi insipientis in errore perseverare, ce lo ricorda B.A. Baracus nella penultima puntata dell'A-Team (quando dondolando la catena d'oro da 13 kili al kollo dondola pure un ragazzo improbo e lo rispedisce dove gli compete con un bel calcinculo mentre un autovan esplode alle sue (larghe) spalle). Insomma, d'accordo che muoio di sonno tutte le sere perchè ela mi propone carichi di lavoro piuttosto pelosi e che la vita in ostello è maschia e in mischia, ma almeno che sono un giovane uomo piacente e abile nell'eloquio lo DEVO dimostrare. Ho iniziato a socializzare, che diamine, col solito stolto ottimismo (poi premiato) che mi diceva "stai per trovare una casa, bitazza, daje un senso pure a queste sere!". Ho conosciuto un botto di gente nel mio buen ritiro viola, ma chi se li ricorda? Potrei bleffare, mmm. C'erano, si, ora mi sovviene, migliaGlia di australiani/e, sempre in cerca di sè stessi in giro per l'europa e in cerca pure di compagnia, anzichenò, così sociali gli australiani; centinaJa (sic) di brasilani barra e ma soprattutto e, americaniae, canadians, mittaeleuropeae, filantropi; anziani, music-nerds, ciccioni telematici, bazzicatori dei postriboli, giapponesine ermetiche in tenute tigrate, pippatori di gas esilerante, cultori della tintarella albina (cit, ricit.), gente in cerca di guai, gente in cerca di gay (-da bastonare-, di quelle persone munite di testa rasata, anfibi dai lacci bianchi e bomberino marchiato da slogan tipo questi: "AZIONE!", "ONORE ALLA LEGIONE", "PER IL BENE DELLA PATRIA!"), avventurierae-ae-ae. Ed io, che come mio solito provavo ad instillare concetti del tutto fuorvianti al mio amico di turno, del tipo "ogni ragazza nel bar ti vuole e ogni ragazzo vuole essere te", aggiungendo pacche sulle spalle e "ma vai, vai", c'ho trovato parecchie cose intriganti, in tutti quelle persone che fluivano rapide mentre io restavo giorno dopo giorno, masticando dolceamaro un linearissimo... MARONI! Poi è arrivato venerdì, che ci ha portato anche un'ottima azione di protesta del sedicente movimento dei giovani verdi austriaci di fronte alla nostra agenzia. *Ma che cazzo vogliono sti stronzi?* mi sono chiesto prima di ricordarmi il mio sostegno ideologico alla protesta, fosse anche motivata dalla semplice assenza di carta igienica ar cesso. Quindi no, prima devo capire le loro ragioni. Vado sul sito di questi chimerici giovani verdi austriaci, e leggo "la protesta è contro il basso livello di attività e la pigritudine di iniziative della FRA", e allora li odio, fancazzen denigrati, a lavorare, sfaccendati! Lottate per la poesia! Però ci hanno fatto uscire prima dall'ufficio, per evitare di venire in contatto con la massa tumultuosa di piantine, e dunque giovani verdi vi voglio dedicare anche un piccolo GRAZIE. Le sere weekendare ci hanno offerto modo di approfondire un po' la conoscenza delle colleghe tirocinanti in uno di quei pub coi libri, che serve il the senza imbarazzo, in cui si va anche da soli, per dire, senza sentirsi uno sfigato con la camiciona rossa e gli avirex all'ombelico. Sabato, mentre si andava delineando all'orizzonte una se-pur-vaga idea di casa, sono andato a vedere una partita di rugby a casa di una collega, eravamo in otto, una francese, un ghanese, un austriaco, una ceka, uno scozzese, io, una tedesca, un inglese, supportando non si sa chi, parlando non si sa come. Tutti parlavamo pe'ccerto la lingua dell'amore, dell'amicizia, del superamento-dei-confini-artificialmente-imposti, e puttana banana Jerry Garcia con i suoi deadheads sarebbe fiero di me, keep it rockin' somewhere in the sky, Jerry. Ho incontrato di nuovo Veronika con la kappa, colei che mi aveva salvato dal naufragio del raziocinio durante l'odissea bologna-vienna di 2 settimane fa. Mi ha fumato in faccia 10 paglie 10 e si è scolata una birra. BURP. Ma parliamo della casa, che mi sto dilungando troppo. Domenica scorsa, dovete sapere, ero ai giardini in cima a vienna e puntavo il dito contro un luogo indefinito all'orizzonte dicendo... *laggiù, non so ancora dove, c'è casa mia*. Lacrimuccia, e mi sentivo un po' coglione. Poi però ho trovato un annuncio di un ragazzo portoghese che abita con un altro, mi sono detto proviamo, ho scritto una mail, ci siamo visti, tutto ok kiciuari kigiuari? Direi di si, e dunque ho preso casa nella sera di lunedì. Mentre tornavo esausto verso l'ostello, in quella violetudine che mi avrebbe abbracciato a sè per l'ultima volta, osservavo i visi pallidi ed emaciati degli individui metropolitani viaggianti in metropolitana e avevo notato una faccia sveglia, occhi che brillavano di attenzione e presenza, e tant'è mi ci metto a parlare, con quest'uomo, e gli dico "sa sono contento", "ho trovato casa", lui mi segue con l'espressione di chi è audente in ascolto ma con educazione e cortesia, senza clamore, e io bla bla, perchè "sa la città per uno straniero" e poi gli butto li pure "la lingua è una barriera non da poco", "l'amore è il prendersi cura dei propri difetti e di quelli dell'altro", "lo sa lei meglio di me", "ma che colpa ha la mia generazione" e "se poi starò male, almeno potrò dire di avere amato" (CIT.). Lui mi guarda ma la sua espressione cambia, si fa cupa, smorfia e mi dice "Ma guardi che non mi interessa. O mi mostra il biglietto o le faccio la multa". Io ondeggio, perdo la fiducia recentemente acquisita nell'homo, nicchio, e mesto e modesto (cit.) estraggo l'abbonamento mensile della metropolitana. E la poesia? Non esiste. Ascoltiamo un po' di Lucio Battisti, che almeno lui mi capisce. E ora ciao, ciao, che è tardi, e devo disfare le valigie. Ah, fa un freddo da neve, e non è escluso che la coltre bianca che ami i primi 5 minuti e odi gli altri 50000 possa venire giù già questa settimana. La mia finestra sul tetto prega che ciò non accada.
 
posted by bito at 00:23 | 4 comments
11 ottobre 2007
vienna parla una lingua che non conosco, vienna rompe gli indugi e inizia a raffreddare l'aria, vienna stringe i tempi, porta ad allungare i progetti, salta il fosso. vienna fa stringere mani ma non concede baci sulle guance, vienna dispone di una vasta scelta di cibo fritto, vienna e i suoi taxi, vienna industrial, vienna con le infradito ma l'alito sbuffa. vienna vede ragazze delle scuole fumare figarette nei vicoli, vienna coi kebab, vienna da internaufrago, vienna che un po' di dolore non ha mai fatto male a nessuno. vienna si riempie di freak e di dark, vienna piena di mark, vienna è un bambino con le orecchie da kirk, vienna con le sue laute offerte di pork. vienna non sbatte le palpebre da un minuto, vienna per gli alcolisti latenti, vienna coi tacchi alti, vienna vestiti agghiaccianti, slanci di generosità, vienna andiamoci su dietro, vienna e sei il tipico italiano, vienna spaghetti bolognes(e). vienna paghi 7 euro un panino, va benissimo ti chiedono? ma no, però è vienna. vienna ha i suoi giardini, vienna e la memoria, vienna con le righe, vienna ed i costumi e vienna con la pelle arrossata. vienna senza le bandiere. vienna beve due birre, vienna succo d'arancia, vienna si innamora, vienna si accalora e si sveste, vienna fa il mimo e ringrazia per gli spiccioli. inchino. vienna che fa silenzio alle 22 e poi pensa, vienna nelle periferie, vienna alzi il telefono, vienna finestre chiuse, vienna facce stanche. vienna che c'hai l'influenza e semplicemente decidi di non avercela più, vienna perchè poi non ce l'hai più. vienna dà poteri insospettabili, vienna series of dreams. vienna è non dire niente di stupido, vienna allora è meglio se taci, vienna non ricorda, vienna si ripiglia, vienna apre parentesi. vienna e trovi spazi, salti i koopas troopas, ti fottono i temibili goombas, vienna si dà da fare, vienna è dimostrare, vienna piena di vespe, vienna e le slappe celesti, i maestri del travestimento, l'arte contemporanea che poi è design? vienna e le rassegne, vienna tante idee, vienna puntine sulle carte, vienna usa il blu, vienna con il pass. vienna si nasconde dietro un dito (medio, tra l'altro). vienna c'ha i piedi stanchi, vienna è sentire forze in saccoccia, vienna e jens lekman, vienna si affaccia, vienna che il caffè si prende in agenzia perchè è gratis. vienna con le cuffiette, vienna è cedere il posto a sedere. vienna quando tiri fuori i ricordi, vienna per salutare, vienna buon volo, vienna appoggi la testa stanca, vienna 7.50. vienna stordisce. vienna prepara, vienna avverte. vienna dorme.
 
posted by bito at 20:53 | 9 comments
06 ottobre 2007
Il mio lavoro mi piace. L'unità comunicazione e relazioni con l'esterno è vivace e chiassosa, dalle 9 alle 17.30 i comunicativi producono sostanza ma pure grasse risate, aggiustate da tazze di caffè prodotto con una macchina dalla complessità esoterica. Dicono che la mia sia, delle 3, l'unità migliore come possibilità di "darsi da fare". Ela, la mia capo, mi guarda, poi dalla scrivania di fronte mi manda una mail che io leggo dopo 5 secondi. Questo per non perdere tempo e non fermare il lavoro. Questo per dire la mostruosa professionalità di Ela. Comunque: stiamo organizzando, o meglio si sta organizzando *anche grazie al mio apporto* una conferenza / workshop / tavola-rotonda sulle dinamiche sanitarie delle donne appartenenti alle minoranze rom in Europa, che avrà luogo a inizio dicembre a stoccolma. Io sto seguendo i contatti, scrivendo, leggendo e fornendo geniali intuizioni alla prodigiosa Ela, che ora mi chiama per nome, ride, si preoccupa del mio stato di vagabondaggio tra ostelli e insomma stiamo diventando amici (cit.). Sono stanco, queste ultime settimane sono state chiaramente molto faticose e avrei voglia di fermarmi, ma ora non si può e allora ci si dà sotto. Di ironie sui miei diritti fondamentali e sul mio diritto alla casa ne ho sentite già parecchie, ed in effetti fa tutto piuttosto sganasciare, ahr ahr. Ho visto alcune case. Mercoledì un appartamento abitato da 2 ragazze austriache piuttosto algide e funamboliche che hanno deciso di prendersi un'altra ragazza austriaca -ci scommetterei- algida e funambolica. Ieri sono stato sorprendentemente contattato dal moroso di Yuzang, ragazza giapponese a cui avevo mandato una mail dopo aver visto un annuncio su un sito. Arrivo nella zona prater di vienna ed il cielo sopra di me è nero come la pece o come i piedi di Jaak quando pagliacciava scalzo in sud africa. Seguo la mappa piegata in 8 che mi ero stampato in ufficio, finisco di fronte ad una stazione dei treni interna alla città e mi guardo intorno. Alberi spogli, pozzanghere, stracci alle finestre, corvi che gracchiano. Il raccolto sembra gramo. Un cavallo nero scalcia all'orizzonte. Arrivo di fronte a questo edificio bohemien e noto che al piano terra c'è un bar che si chiama BAR TROJA. Porca paletta, penso. Suono il campanello e scende Ahn, moroso di Yuzang. Mi fa cenno di entrare. Salgo le scale, Ahn parla, parla, mi spiega che Yuzang non sa l'inglese ma solo il tedesco, che però la casa è moderna, che il box doccia fa più comodo averlo direttamente in cucina così metti che hai poco tempo puoi far saltare le uova in padella tra il primo ed il secondo shampoo. Il water? Sulle scale, ma la chiave "ce l'abbiamo solo noi" (cit.). Poi mi guarda, sorride e dice: "questa è una zona tranquilla". Non riesco a sentirlo bene perchè in quel momento passa il treno merci che porta l'acciaio proveniente dalla Ruhr. Deglutisco piccato e penso *Tu, Ahn, c'hai la faccia come il culo*. Nomen omen, dunque. Oggi ho visitato casa di Nina, ragazza tedesca portatrice sana di una vaga somiglianza con Moana Pozzi, che affitta camera sua in una casa bellissima tra novembre e gennaio, tre mesi. Se me la concede la prendo, e mi arrangio per il resto di ottobre e per febbraio. Tra parentesi: ho notato -e scusate se non ci avevo fatto caso prima- che le ragazze del centro-est europa hanno dei polpacci veramente importanti, roba che se mettono dei pantaloni a zampa addosso a loro diventano a tubo.
Sono in questo ostello carino e pitturato di viola. Oggi mi sono perso per Vienna ed era un po' quello che volevo. Tutto quassù ha un sapore molto vivo: Vienna sembra chiedere molto, ma questo cercavo.
 
posted by bito at 17:06 | 6 comments
02 ottobre 2007
La mia scelta di optare per l'umiltà prendendo il treno invece dell'aereo si è rivelata subito una stronzata. Arrivo alla stazione di bologna con un'ora di anticipo carico di valiggie, guardo il tabellone delle partenze ed oltre a non scorgere la scritta "bito io e noi tutti ti amiamo" non scorgo neppure la ben più importante scritta "wien 22.23". Penso ad un errore dell'ometto del tabellone, questo ometto che nella mia fantasia sposta manualmente le tesserine con perizia ed efficacia, mi siedo e penso. In realtà temo. Taglio il mio sovrappensierismo e mi dirigo tremebondo dall'amico bigliettaglio, sorrido e dico senti, vienna? Lui mi guarda e suda. Suda. Io lo guardo torvo attraverso il vetro sporco, ma il mio sguardo si incrina di fronte al suo sincero dispiacere. C'è uno sciopero, mi dice, e a momenti piange. Io sono lì lì che sto per incoraggiarlo, e daje vorrei dirgli, ti stringo amico bigliettaglio, ma poi perdo la bontà d'animo e mi incazzo. Ma non era annunciato! sbotto, mi indigno, reclamo. Poi penso che se gli scioperi fossero sempre annunciati, lo sciopero come forma di protesta pacifica non avrebbe zzenso, e dunque a che pro? Do ut des? Sine qua non! Insomma abbraccio la causa dei ferrovieri, non ne conosco i dettagli ma almeno abbraccio qualcosa in questo momento così instabile di partenze e ripartenze. Scelgo la quiete, mi chiudo in una non-comunicazione kierkegaardiana grazie all'ipod e aspetto. Scopro che ci daranno un bus sostitutivo fino al tarvisio, partenza un'ora dopo il previsto, poi arrivati al tarvisio si prende un treno. Il bus arriva con la flemma che ti aspetti, io salgo, dormo il sonno dei giusti, arrivo al tarvisio ma non c'è nessun treno ad aspettarci. La causa dei ferrovieri trova in me un sostenitore ormai tiepido. Conosco Veronika con la kappa, austriaca di Graatz, e dico grazie perchè almeno smetto di fare l'asociale anaffettivo e parlo con qualcuno. Dopo 2 ore arriva un altro bus, mandato dall'austria perchè "italianen tanto casino" (cit.) e per fortuna che ci salvano loro. Arriviamo a Villach quando sono le 8, ed i bar sono ancora chiusi. Finisco non so come in un pub, in attesa del treno per vienna. Veronika piglia una birra, io un caffè. Sono intimorito da una donna che beve birra, alla mattina. Aspettiamo il treno, i testicoli ormai hanno smesso di trottolare, ho esaurito l'energia cinetica. Saliamo in un ottimo convoglio, ma nel nostro scompartimento dopo poco arriva la tipica madre con i tipici figlioli che vogliono giocare ai videogames, ed io li odio, con quei videogames zapposi! Vi odio, videogames! Saluto Veronika, che se ne scende in un paesino da cui poi prenderà un altro treno. Saluto col pugno chiuso il capostazione, il mio essere -nonostante tutto- ancora solidale alla lotta dei lavoratori dei mezzi su rotaia viene premiato da un sorriso iperbaffuto. Vienna mi accoglie con un caldo maialo, da non crederci. Chiamo un taxi, si ferma un signore coetaneo di mike bongiorno, mi apre la portiera, e come uno schiaffo mi invadono le note di fotoromanza di gianna nannini (più o meno dalle parti di "il tuo amore è un gelato al veleno" (cit.)). L'immagine di questo gelato mi ha sempre turbato e continua a farlo. Arrivo all'ottimo ostello, saluto tutti, bello per da bono, faccio un giretto, scrivo due cose, guardo il letto e crollo. La mattina mi sveglio un po' agitato. Prendo la metro che già conosco a menadito per i miei ricordi di 17enne, e infatti mi perdo. Arrivo comunque con un anticipo esagerato, decido di esplorare i dintorni di rahlgasse e del palazzo dell'agenzia, finisco in un simil-ikea, ma io non c'ho una casa, penso, e dunque esco. Si fa una certa, entro nell'agenzia, passo il solito controllo di rito e mi accomodo in una stanza adibita alla nostra accoglienza. Qui mi aspettano già i miei colleghi tirocinanti, che con mia grande sorpresa si rivelano essere 2 tedesche, una rumena e una polacca. Basta così? Enola, la responsabile, mi informa che arriverà una sesta persona. Un maschietto spagnolo, portoghese, greco, inglese? No, una ragazza russa. Ah. Dopo la presentazione dell'attività della FRA, mille cartelline regalo, ottimi gadgets, domande e dubbi, il giro dell'agenzia, 3 piani a presentarsi ogni 10 secondi, bottigliette d'acqua e caffè lunghi arrivo all'unità di comunicazione e relazioni con l'esterno. Qui conoscerò il mio tutor, con cui condividerò l'ufficio. Mi aspetto, per una sorta di compensazione, un arcigno funzionario finlandese, un pragmatico professionista belga o un calvo crumiro danese. Ma ela c'avrà poco più di 30 anni ed è della repubblica ceca. Con lei parlo a lungo e mi spiega un po' di cose. Poi risponde al telefono, chiama, scrive, io mi sistemo, mi acquieto, guardo in giro. Si fa tardi, esco dall'ufficio, vienna si accende con luci limpide, scrivo a sandro per beccarlo e lo aspetto davanti alla stazione della metro di museumquartier. Qui mi accorgo, cercando sandro tra le facce della gente, che tutta la gente maschia è davvero uguale a sandro. Quando alfine arriva l'originale e inconfondibile, ci si abbraccia e si va a bere una birra dove presumibilmente l'avevamo bevuta anche 7 anni fa. Vienna inizia così, di fretta, o di prescia. Io le corro dietro, a polmoni aperti, con tante frasi corte per starci dietro col respiro. C'ho un ottimo numero austriaco, la compagnia non è più l'insuperabile SAFARIcom kenyota ma una positivissima YESSS (con tre S). Mah. Se volete il numero, scrivetemi un emilio. A presto... presto.
 
posted by bito at 08:52 | 9 comments
29 settembre 2007
Il disco dei thrills che rambo mi ha regalato perchè giaceva mesto nella sua edicola da mesi e *poi tanto nessuno di quelli che passano da qui comprerebbe un disco dei thrills, neppure a 2 euri*, questa settimana mi è sembrato pieno di canzoni bellissime. Fossi uno scrittore di musica rock plastico come il compianto mr. bangs, però, mi gratterei la faccia e direi: "fuckup questo disco fucked è pieno di melodie che... fuck! non fossi un maledetto snuff-a-fffack oramai me ne sarei stancato, ma... sarà il periodo mad-da-faccar, mi garba!". E insomma c'ho la testa piena di coretti da prenderci il sole in faccia, a momenti lascio tutto e mi metto alla ricerca dell'onda perfetta. Ho tutto pronto, me ne vado a vienna. Spero solo che come primo contatto con la città, prima ancora di addentare piatti generosi quali il tafelspitz o il powidltascherl serviti da cameriere trecciolute, lentigginute e dalle gambe tornite, qualcuno non mi dica "ah ma sai, qua ti devi vestire a cipolla" (cit.) perchè io l'idea di vestirmi a cipolla... non so, è proprio l'espressione che è sgradevole, mi fa venire da piangere, perdinci le parole sono importanti (nannicit.). Ora. Naufragati per il momento i progetti paralleli su cui mi ero gettato anima e corpo in questi mesi (fondare una comune culturale sugli appennini per rivalutare la figura del maiale, insieme a pasta e sandro; rintracciare l'autore del graffito "CON MILINGO" presente su una strada di milano e produrre scompiglio insieme a lui/lei all'annuale convegno dei preti spretati, che sue mi ha detto avvenire nella di-lei-nativa sorrivoli; scappare dal regno dell'acqua cavalcando un delfino) mi posso dedicare solo a vienna, vienna. Vienna. Prometto, starò qui fino a marzo. Vienna.
 
posted by bito at 12:36 | 4 comments
21 settembre 2007
Ieri dal matatu il sole brillava e scaldava come una coperta ed io me ne stavo lì a guardare fuori, tornando a casa dall'amba*. Immaginavo cosa avrei potuto o voluto scrivere di un giorno come questo, ma c'avevo lo stomaco girato e mi limitavo ad osservare attraverso i vetri opachi le impalcature delle case in costruzione, impalcature fatte da pali di legno sottili come stuzzicadenti attaccati con uno sputo di spago. C'erano sacchi pieni di sabbia che tenevano su marciapiedi di terra rossa, insegne improbabili, jacaranda, una moltitudine di colpi di tosse, gocce di sudore, insegne inneggianti alla maratona del 28 ottobre per le strade di nairobi e poco altro. Poi pensavo alle persone, tante impressioni destinate a rimanere tali. Non mi veniva in mente molto, per verità, e ogni tanto non pensavo a niente: ero solo stordito come dopo aver ricevuto una gomitata sul naso, occhi inondati di smog, e dando un occhio alla borsa assistevo al prequel di una malinconia, titolo sugli schermi e tende pesanti *ho sfiorato il kenya* (incasso al botteghino, meno del mitico film tombiano *alex l'ariete*). Mi hanno telefonato l'altra sera da un numero sconosciuto: non ero arrivato a rispondere e mi ero detto avrà sbagliato. Ieri mi aveva richiamato lo stesso numero e sue mi aveva portato un cellulare pesante pesante nell'ufficio in cui mi trovavo, e ho risposto io, mi fa, e chiamavano da vienna, e dopo aver aggrottato fronte/sopracciglia avevo realizzato che quell'application distante mesi era stata finalmente accettata. Ma? Sì? Sì. Vai, sei tu il nostro ariete (cit.). Insomma, la faccio breve: oggi parto per tornare in italia, e da lì andrò per 6 mesi a vienna, sede dell'agenzia dell'unione europea per i diritti fondamentali, mi garantiscono il necessario per vivere in maniera autosufficiente e possibilità da esplorare, prospettive addirittura, spero anche valore etico, e in pratica dovrei essere felice come una pasqua per questa carta che mi trovo in mano e che sento valere molto, perchè in fondo io proprio all'UE volevo andare a parare. Ogni volta non è facile partire, lo è ancora meno se devi partire da dove sei appena arrivato, l'amba*, che ormai avevo imparato i nomi, queste strade che si congelano alla mattina, sueleonogiulio, il cielo dannoso e pure sti gingilli vagamente ambigui atti a soprammobiliare casa. Ieri meny ci è venuta a trovare nell'appartamento e ci ha fatto ridere, con quel suo sorriso da pinguino, e mannaggia sto qui da mò (cit.) e com'è possibile che sia già faticoso volarsene via? In amba* mi han detto "vai", il sottoseg. mi ha detto "vada", e così un po' tutti, anche il portiere che sta all'ascensore a momenti mi buttava giù, e quindi sto qui col biglietto in mano, le tasche piene di cose, il primo ottobre inizio questa avventura in terra austriaca e ciao con la manina. Fa niente che il mio duna-stipendio si sia bruciato con 3 biglietti aerei non rimborsabili e qualche notte in nairobi, il più è l'interrompere ciò che si è appena iniziato, non fosse per questo sapore che resterà in bocca per un po'... ma bisogna giocarsi le sorprese, tirare respiri e dire sì.
 
posted by bito at 07:56 | 13 comments
17 settembre 2007
Arrivo in kenya giovedì 13 e non si vede niente, fa freddo e piove. L'aereo della british londra-nairobi, un boeing sterminato con due piani, 4 hostess non-recentissime e un numero imprecisato di posti vuoti, è partito pochi minuti dopo la fine di una corsa furibonda in cui io e sue abbiamo attraversato heatrow maledicendo la british-bazza per il ritardo di 40 min del volo milano-londra. "Ma ce l'abbiamo fatta" c'eravamo detti addentando un gommapanino alla salsa di tonno -roba che neanche la crema spalmabile spuntì degli anni 80- e deglutendo faticosamente un amaro calice di aranciata amara. "Speriamo solo che ci abbiano caricato anche i bagagli", avevo aggiunto corrucciato, ma poi avevo scacciato l'incertezza a furia di daje, *U-chhh*, occhiolino di sicurezza, scene, cinque alti e stai manzo col piglio mansueto dei bovini, che arrivano. E per arrivare arrivano, ma nel mio caso con l'aereo dopo. Quindi, e ritorno all'inizio, arrivo in kenya e oltre al non vedersi un cazzo per la coltre di pioggia maledetta che trasuda come l'ascella del fratello di susanna, ecco, non c'ho neppure il bagaglio. L'anno scorso avevo aspettato 12 ore l'aereo per Bloem, quest'anno 12 ore la valigia: c'è da dire che, se si trattasse di aspettare sempre solo 12 ore per avere qualcosa a cui si tiene, firmerei qui col sangue della zanzara cicciona che ho appena attaccato al muro. Ad attenderci in aereoporto c'è pita, mitico tassista kenyota che in due giorni io sue ed eleo abbiamo reso il tassista più abbiente di nairobi, ci ha già presentato a tutti i suoi amici tassisti e ho notato che questi lo guardano con una modica malevolenza, perchè pita ha trovato le galline da spennare (e tra quelli col culo a piume ci sono pure io). In realtà pita è onesto, ma ha un po' l'attitudine tipica del prendersi il braccio se tu gli dai una mano; considerando che deve anche guidare, non rimanendogli arti liberi guida col culo. Pita ci viene a prendere perchè è uno dei tassisti che attende con impazienza davanti al newkenya lodge occasioni di lavoro, e mi era stato segnalato dal proprietario dell'ostello quando avevo chiamato dall'italia qualche giorno fa. Mentre guidava l'altra sera utilizzando solo prima-seconda-e-terza che forse le altre marce pare brutto, portando dall'aeroporto al newkenya un me medesimo avvilito e pieno di bile per la non-valigia nel bagagliaio e una sue proto-addormentata, muoveva freneticamente le manopole del cruscotto, cic-ciac e cri-cri per spannare ma zio billy qua non si spanna niente, oh pita. Ma dov'è il kenya che io vedo solo nebbia? sbuffavo tenendo i pugni sotto il mento come britney e allora per fortuna che la conversazione era rotolata sul calcio e calcio più italia fa *CANNAVARO!*, *cannavaro eh!* mi urla nell'orecchio pita in preda alla foga, rendendo instabile l'aderenza delle ruote sull'asfalto, e mentre grida *cannavaro!* per la n-esima volta si incomincia milagrosamente a spannare il parabrezza, che sia stato l'alito di pita oppure le manopole mosse con estro non lo so. So solo che l'indomani la mia valigia era bel bella all'aeroporto, e pita mi guardava sorridente, annuendo convinto -nel giusto- che il mio buonumore gli avrebbe pagato la colazione. Diavolo di un pita. Il newkenya è una sistemazione di passaggio, sia per me e sue che per l'acqua della doccia che passa sui corridoi dell'ostello *perchè lo scarico non c'è*, fluisce nella grondaia e da lì si incespica direttamente nel cortile interno. Rock n' roll. Al suo interno una multiculturalità speranzosa, 5 euri a notte, diversi tipi di insetti ibridi leggendari come lo scaratopo e diversi tipi umani: giapponesi, francesi, indiani, sudafricani, mozambicani e il proprietario kenyota con la maglia della nazionale italiana del periodo 2000/2002. Mentre sue si lava e l'acqua del risciaquo scorre sotto i piedi di chi passa io faccio la guardia alla porta insieme a kali, francese delle colonie che lavora in una ong a 4 ore da nairobi e che mi dà consigli utili di sopravvivenza urbana (cit.). Bastano pochi minuti per scordarci di domenech, solo risate e niente fischi all'inno avversario. La notte si dorme in una stanza da 4 occupata da me e sue, reti anti zanzare sopra il letto e un sonno malvagio. Venerdì ci svegliamo in mezzo a nairobi. La megalopoli moderna si confonde col fango delle strade, che sembrano disegnate col pennello e vengono solcate da auto che fanno un puzzo così ragguardevole che -quasi- c'hai rispetto. Il traffico di nairobi è incredibile, increscioso e in crescita man mano che ci si avvicina alle 6 di sera: lo smog pervade ogni cosa come slimer dei ghostbusters, e pure noi contribuiamo attraversando la città da un posto all'altro tra taxi e matatu (pulmini-taxi con 10-12 persone e musica reggae sparata ad un volume oltre il bene e il male). Con sue e eleonora passiamo in amba* e segnaliamo la nostra presenza, siamo entusiasti e l'ambiente pare più che egregio. I dubbi si sistemano, i pensieri sembra che girino, molto spaventa meno e incominciamo a fare ordine. Ci trasferiamo in un residence dal prezzo molto basso che sembra un'oasi: a saper dove cercare, si imboccano le strade giuste e la bolgia diventa misurabile. Capiamo com'è girata la città e incominciamo a visionare case ed opportunità: tra pochi giorni saremo in cinque. Dopo aver affrontato le pacifiche aggressioni dei cargadores dei matatu, gente che ti vuole tirare su e offrire corse da 20 scellini (20 eurocent) con una gioia che io li abbraccerei, le cose si infilano inaspettatamente domenica grazie a meny, amica di un amico del sosia di una persona che lavora in amba* (autocit.), che ci prende sulle spalle e ci dice *ho io ciò che fa per voi, ahr*. Tre chiamate, un colpo di tosse, facciamo dù conti, decidiamo di scartare la casa di una grassa signora indiana che sembrava già nostra madre e dunque l'abbiamo trovata, zona kileleshwa (spelling a caso ovviamente), mercoledì ci si trasferisce in un'appartamento svolta che sembra costruito per noi. A meny, mentre ci porta verso il residence, annunzio "ti costruirò una statua, in cui brandisci e vibri la bandiera italiana", lei attacca a ridere e smanacciare e rischiamo di finire del fiume accanto a riverside, e per fortuna che ho detto una cosetta banalotta perchè se mi usciva una cosa simpatica saremmo morti. Nel residence, impegnati a mangiare patate, incontriamo un signore italiano che ci racconta delle sue esperienze in africa, di quando ha visto l'incenso uscire da tagli degli alberi che sono come ferite, e di come lui, apicoltore, *sia allergico alle api*. Non ridiamo, immaginiamo che stia per prendere le nostre labbra pendule per lo stupore e ci chiuda la bocca. "D'altra parte", fa, "quello delle api è un mondo *troppo* perfetto, mi stupisce ogni giorno. Io non riesco a non esserne affascinato". E il qui presente, che di api non sa un cazzo, non aggiunge altro e domani si compra il miele.
 
posted by bito at 07:33 | 11 comments
12 settembre 2007
Mentre mi chiedo come può essere così semplice quest'anno chiudere la valigia -quando l'anno scorso neanche coi lucciconi agli occhi ed i paternostri- realizzo con sgomento che o quest'anno parto più sgamato, oppure ho dimenticato qualcosa di fondamentale. Fa lo stesso. Vado in Kenya, questo paese qui riportato nella cartina rigorosamente in bianco/nero, parto tra poche ore e principalmente scrivo per procrastinare (sic) il più possibile il momento in cui io sarò *pronto*, bello-addormentato uber alles, quindi per adesso lasciamo fuori la macchina fotografica, i biglietti, il passaporto e le lenti a contatto. Nairobi è all'equatore, 1600 metri in su, è una megalopoli dell'africa centrale. Tanto diversa da Bloem, che fondamentalmente era 1600 metri in su pure quella ma era drasticamente rurale e camminava piano e orgogliosa. Parto con la testa sostanziamente sgombra ma con tantissime porticelle che sbattono, maledette. Abbandono l'esistenzialismo da caffè. Ho idea di capire perchè sono attratto dall'africa, se ho finalmente eliminato quella compassione fasulla che ci si attacca alle scarpe e se posso davvero fare qualcosa di buono. Sono drammaticamente sicuro che riuscirò anche stavolta a trovare ottime ragioni di entusiasmo. Aveva forse ragione Mauro Andrea quando diceva che non si finisce mai di cercare perchè non si trova mai (cit.)? Aveva forse ragione Sgombielli che blaterava che uno è attratto dai posti in fondo al mondo perché pensa che lì potrà trovare quello che è in fondo a sé stesso? Boh, io non sono sicuro neppure della mia taglia di mutande. 5 o 6? Dipende dal modello? Dipende dal momento? Comunque. Tutto ciò fa parte dell'Inconoscibile, ce lo dice Herbert Spencer che qui vi riporto per il vostro piacere, e la conoscenza è relativa e bla bla, ed il positivismo evoluzionista ha i suoi estimatori bla, andiamoci su dietro -dico io- e domandiamoci, piuttosto, come ci poniamo di fronte ai suoi basettoni da vero ruvido. Poi vi saprò dire meglio. Per ora non mi dilungo oltre, e a presto.
 
posted by bito at 17:37 | 6 comments
04 dicembre 2006
Sono qua col portatile sulla moquette polverosa, e provo a buttare giù quella che spero possa rappresentare una dignitosa "ultima puntata". A meno che non mi capitino avventure memorabili o disgrazie tragico(s)miche non descriverò i miei ultimi due giorni ed il viaggio di ritorno. Perché? Perché oggi mi sento la testa abbastanza leggera ed ho voglia di mettere una piccola parola *fine* a questo blog, che forse riprenderà ad essere aggiornato in futuro o forse no, e che comunque mi sembra abbia fatto il suo dovere. Ieri pioveva a dirotto e sembrava autunno, qua a Cape Town. Nella *prima* mi ero augurato che questo non fosse un blog piovoso, che di pioggia ne cade già abbastanza fuori di qua (autocit.), ed io ringrazio chi di dovere perchè a parte qualche scroscio così non è stato, lacrime di pioggia non ne sono cadute e mai mi sono sentito perduto o troppo lontano. Vorrei mettere parole felici in questa ultima puntata, perchè sono felice: questa avventura mi ha regalato emozioni intense e sento di aver vissuto fino in fondo questi mesi. NB: se al mio ritorno mi ritroverete grasso, pelato o lento nei movimenti non significherà che sono invecchiato, ma che ho -appunto- vissuto fino in fondo questi mesi. Sto per terra con la testa piena di disegni, 24 anni tra pochi giorni, un dente del giudizio che cresce ed un altro sensibile al freddo, e come tutti mi guardo in saccoccia per vedere cosa c'è a fine viaggio. Ora so che le ragazze non pallide utilizzano gli ombrelli per proteggersi dal sole, che a Bloemfontein nei minibus il concetto di pieno viene interpretato in maniera radicale, che alla mensa universitaria per estinguere il mal di testa del giorno dopo ci sono sempre solo zucche dolci, patate dolci e fagiolini, che a sunset beach puoi vedere e fotografare i pinguini, che la pasta all'italiana si chiama "alfredo", che a capo di buona speranza l'oceano atlantico e quello indiano si scontrano ed i baboons attraversano la strada come se non gliene fregasse niente, che la lingua xhosa è fatta di schiocchi, che karoo in afrikaans significa *terra della grande sete* e non mi sento di contraddire questa affermazione, che nel Free State puoi andare in giro scalzo ma se c'hai la ciabatta allora indossi il calzino, che sulle spiaggie del Capo il vento soffia così forte e la sabbia è così sottile che ti punge le gambe come piccoli mosquitos. Ho trovato tanto spazio per riflettere, in realtà, e mi ha aiutato il fatto che la vita quaggiù sembra correre su un binario lento, soprattutto se per dirigerti autonomamente da un punto A ad un punto B non hai altro che i tuoi piedi. Nelle mie pigre camminate per Bloemfontein, in mezzo ad un sole che brillava nella maggior parte dei casi, mi hanno fatto compagnia quei pensieri che si fanno posto da soli, senza che tu lo voglia. In Sud Africa sono stato preso tante volte da quella sensazione strana che si prova quando sei consapevole che non scorderai mai ciò che hai di fronte agli occhi, o il modo in cui ti fa sentire fragile o grande o deciso o innamorato. Guardandomi indietro con la lucidità di un corridore che controlla l'avversario che segue, che non è molta ma è pur sempre autentica, mi rendo conto che una delle cose che tengo con me è l'importanza delle cose non programmate ma capitate e basta. La mia decisione spontanea di cercare una destinazione in Sud Africa ha dato vita ad una catena colorata di decisioni spontanee. Ho provato a non dire mai di no alle proposte che mi sono state fatte, accantonando pigrizia o timore, ed ho messo sul tavolo ciò che avevo sperando che bastasse. In cambio ho ricevuto molto, e spesso ho pensato di non meritarlo.
Gli slanci di ospitalità che ho sperimentato a Bloemfontein e dintorni hanno spesso rasentato l'imbarazzante. Non puoi ripagare un'ospitalità di quest'ampiezza. E' pura, limpida e sincera come l'azzurro inverosimile del cielo che copre il paese. Durante i mesi a Bloem ho capito che le distanze possono essere ridotte facilmente se si gioca senza paura, ed ho preso sulle spalle le responsabilità che erano mie. Tanti suggerimenti, o cartelli come diceva qualcuno, mi hanno aiutato a capire dove andare. Dopo pochi attimi ho visto che le barriere culturali venivano tirate giù, le mani si tendevano e si stringevano con il calore di sorrisi sinceri che mostravano una soddisfazione sincera. Come mi scriveva qualche giorno fa Giacomo dal Brasile, mi sono reso conto che c’è un’umanità di fondo che è uguale in tutto il mondo (cit.). A volte è salutare andare altrove e dare un'occhiata a quello in cui si crede, per controllare se funziona ancora là lontano. I miei mesi in Sud Africa mi hanno confermato che credo nelle persone. Ho sempre pensato che solo le persone contino davvero e che la gente non sia fatta per stare da sola. Ognuno costruisce il proprio modo di vivere su un qualche assunto fondamentale, e la mia vita poggia sulla convinzione che le persone sono buone, meritevoli di fiducia e potenzialmente amiche fino a che non dimostrano il contrario. Il mangiare/bere troppo ed il dormire troppo poco, spesso in compagnia di "personale accademico" ridotto alla sassata (cit.), mi ha mostrato che ognuno ha grandi pregi e grandi difetti e non dovrebbe avere paura di tirarli fuori. Il fare baracca, come si dice dalle mie parti, non è un qualcosa che cambia: nella township come nei barbecue di pretoria variavano gli attori ma non la sceneggiatura, e le parole si scioglievano facili. Per trovare un posto nel mondo, e non mi riferisco ad un impiego, credo di poter ora fare affidamento su qualche tratto di penna, come puntine di metallo su una mappa geografica. Una delle puntine è salda su Bloemfontein, quel posto caldo e polveroso che talvolta mi sembrava fatto di cancelli che si aprivano per poi chiudersi un attimo dopo. Ho cercato di superare l’amarezza che ogni tanto mi pigliava. Ho apprezzato il senso di prospettiva del Free State, ho amato i suoi odori forti, i suoi suoni ed il modo in cui ricominciava a marciare dopo gli scrosci di pioggia di ottobre. Tante volte dopo l’ufficio me ne sono stato lì fuori casa mia, con la brezza nelle orecchie, a chiedermi da dove potesse venire. Era facile, in quei momenti, credere a ciò che diceva la guida di un museo sulla storia dell’uomo, vicino a Pretoria. Diceva che il Sud Africa è il più vecchio pezzo di terra del mondo. Ho amato le persone che ho incontrato in quella città in mezzo al niente. Il Van prima di salutarmi dieci giorni fa mi ha detto commosso che era sicuro io avessi compreso un po' il Sud Africa, che mi aveva aiutato a vedere senza paraocchi o "itinerari per turisti", mostrandomi anche le sue (tante) contraddizioni. Contraddizioni, opportunità: in fondo non sono poi così distanti.

Grazie a tutti, quindi. Io mi sono divertito, spero anche voi a leggermi.
A presto, presto.

 
posted by bito at 12:00 | 13 comments