13 gennaio 2008
c'è qualcosa nel tango che sa di amaro, dolente, come un nervo scoperto. come una nenia disperata, il tango si impara con la lentezza, e mettere i passi in fila non è difficile quanto questo dover misurare i movimenti. e guardarsi negli occhi? non ti conosco, balliamo. è la contrapposizione di amore e sofferenza che lo rende terribilmente umano, imperfetto, sbilenco e attraente. il tango porta con sé storie di immigrazione, quindi di separazione, di addii che -causa un oceano di mezzo- sarebbero risultati quasi sempre definitivi. ma come si fa, mi chiedo, a partire per non tornare mai più? quando il mondo non era ancora piccolo, ma plurimo, e per tornare alla propria casa di un tempo si dovevano spendere i risparmi di tre vite. forse, semplicemente, non c'era spazio per le domande, ciò che occorreva urgentemente erano i panini al crudo. e poi quel viaggio in nave. a me sembrano lunghe quelle poche ore e non so pensare alle settimane, con l'italia e la spagna negli occhi e la speranza di trovare terra da lavorare e pane da divorare. roba che un cuore solo non basta. non c'è solo questo, chiaramente. è anche un incontro dannatamente fisico tra persone, fatto di tensione, fatica e sudore. ed anche questo è come un viaggio condiviso, perchè insieme si fanno scivolare i passi. un viaggio accompagnato da una musica che scalda, che ogni tanto ci si ferma perchè nelle orecchie non ci sta più.
sulla ferrovia in questi mesi ho incontrato tante persone che viaggiavano. ho *sempre* conosciuto qualcuno, nonostante la stanchezza che era inevitabile retaggio della "sera prima", nonostante l'attesa o la delusione o ancora quella malinconia che per me pervade qualunque viaggio porti *un po' lontano*. e anche qui come nel tango sono mani che si stringono, scrutarsi, per poi fare un passo avanti, anche se nel ballo il primo è indietro. sono sguardi e mozziconi di parole, mani nei capelli, imbarazzo se il posto è poco e bisogna stare stretti. ogni tanto i passi sono sgraziati e ci si pesta pure i piedi.
gli scompartimenti sono mondi in cui si entra in pochi per volta. microcosmi che durano finchè non c'è da scendere. non sai mai dove mettere la testa.
apriamo una parentesi descrittiva. c'è stato l'attore di fiction austriaco, un biondo occhialuto con la passione per l'italiano causa morosa di bologna, impegnato ad elencarmi celebrità austriache. io conoscevo solo sfarzenegher (scritto così) e haider, che in questi mesi si è pure rivelato pederasta.
c'è stata anna, che lavora sotto vienna e parla 4 lingue. capelli raccolti e occhiali di chi sa il fatto proprio, una borsa arrogante, una voce confondente, una parlantina stordente, una silhouette divertente. rivelatasi gran russatrice, predilige il cappuccino del treno a quello dei bar di vienna. io non arriverei a tanto, anna.
c'è stata vale (forse valeria, forse valentina, forse valejddsdfndkjnrk) studente fuori sede e fuori tempo massimo, i cui argomenti mi hanno aperto porte della percezione che neppure i doors. i magazine per donne, l'astrologia, il cucito, la vera storia di laura palmer, l'importanza della carriera *ma preservando la femminilità*, il rossetto rosso fuoco.
c'è stato alberto, omonimo argentino dell'insegnante di tango (che è invece peruviano). come l'alberto peruviano, anche questo possedeva una pancia comodamente accomodata sopra la cintura, un accento clamoroso, una vita da emigrato, la barba di due giorni, un passato da ex comunista, i capelli da ex chitarrista (cit.). amore per le città di mare, ricordi e nostalgia canaglia.
c'è stata la mia collega d'università daniela, che per caso ho incontrato sul binario a venezia e mi ha guardato insicura sul "seitu,tunonsei" prima che io sbottassi in un fragoroso *mamma mia*. con lei ore nel vagone ristorante, litri di caffè sapore freno e frizione. zuppa di gulash, poi la neve ad accoglierci nella stazione sudbanhof.
c'è stato emanuele, conosciuto a una festa qua a vienna, e rivisto la sera dopo ad una festa, sempre a vienna. coincidenza pure qua. con lui abbiamo affrontato e sviscerato il delicato argomento *la vita grama di un gatto che non ha più i testicoli*.
ci sono stati i gemelli fottutamente inquietanti. 4 bambini *sputati*, un raro caso di omozigotismo (forse) a mio parere sfacciato, che dall'occhio azzurro e dal colore ceruleo sussurravano una cosa: hollywood. al cinema abbiamo visto decisamente troppi bambini inquietanti. per la loro capacità di sparire e ricomparire dalla parte opposta del vagone, ho anche considerato l'ipotesi che potessero essere fantasmi, e il tutto era fottutamente soprannaturale (cit.).
c'è stata michela, che è addirittura di faenza. la mia incredulità qui si è fatta ingombrante.
e ancora quel fuoco, lo ricordiamo? c'entra niente il treno. cosa diamine ci faceva elyse di adelaide nel deserto marocchino? i rotoloni? chiudiamo la parentesi descrittiva.
poi quella chiamata. e "quanto più profonde sono le radici, tanto più crescono i rami". e se i rami si spezzano, sono **zz*. le radici stanno lì, mentre le settimane scorrono -per usare la dialettica covizziana- galoppanti, fragili, veloci. ascoltavo il solito dylan e fuori pioveva. le parole erano scandite con la voce che tremava, ed erano forti come se le avesse dette mio padre.
 
posted by bito at 21:18 | 6 comments
05 gennaio 2008
da un sms alterato giunto mentre ci si trovava nel deserto, giunge pure il nome di questa clip. avrei potuto scrivere del tassista che chiama un altro taxi e poi si ferma a chiedere informazioni per portarci negli anfratti della marraca, dei touareg scrocconi, di chuck e delle sue mutande lasciate in macchina, delle ottime, di freddie e titti, del ritratto del re sputato a vittorio de sica in pane amore & fantasia, del tajin (sic), caffè neri in bicchieri di vetro, motobecane, contrattazioni per le schede telefoniche, gente che ci rincorre, tabacco alla mela, spiedini, cieli desertici, tende bucate, lavandini abusati, porte basse, sole. ma facciamo a voce.

 
posted by bito at 11:42 | 10 comments